Dopo il primo ascolto di “Diamond Hoo Ha” ho riascoltato il precedente lavoro dei Supegrass, quel “Road To Rouen”che aveva spostato la cifra stilistica della band su territori più sfaccettati e meno irruenti. Quella fu una bellissima prova di brit pop in chiaroscuro, frutto di una precisa maturazione cresciuta col tempo. Ho fatto questo passo indietro di circa tre anni per un motivo ben preciso: qui sembra di essere tornati più o meno all’irruenza melodica di un tempo, pur senza la sfacciataggine della giovinezza e la cosa mi ha sorpreso.
Se questo fosse un buon disco non l’avevo capito subito, mi ci è voluto qualche ascolto per riallacciarmi a certe soluzioni che credevo ormai abbandonate, poi alla fine ho maturato l’idea che si, è un buon lavoro anche se non eccelso. I Supergrass sono quel tipo di band che ha accumulato esperienza sufficiente ad impedir loro di sfornare dischi brutti anche quando, come in questo caso, le coordinate sono quelle di un classico rock-pop di stampo britannico, che guarda ai The Jam da una parte e agli immancabili Beatles dall’altra.
Le canzoni filano via lisce e piacevoli anche se manca il singolo che non riesci a smettere di canticchiare nella tua testa tutto il giorno, le chitarre luccicano, i ritmi incalzano il giusto e le linee vocali riempiono al meglio gli spazi armonici. Manca l’incoscienza che solo la giovane età può conferire e non siamo certo ai livelli degli esordi, però l’album convince nel complesso ed è comunque un raggio di luce luminoso nel panorama britpop attuale che sicuramente non vive un periodo di grande ispirazione. Insomma, per il sottoscritto i Supergrass risultano ancora due spanne sopra tutte le “Scimmie Artiche” che popolano le pagine dei giornali e delle blogzines di mezzo mondo.