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Stanotte è venuto un tizio a svegliarmi. Ha detto che era importante che lo seguissi. Gli ho risposto: “Fratello, ma lo sai che accidenti di ore sono?” E lui, serafico come una tragedia inevitabile, mi ha risposto: “Si. Vestiti e andiamo”. C’era odore di bruciato dappertutto, un’enorme pecora nera mi ha dato un bicchiere di whisky invecchiato male, l’aria traballava precaria ed una musica geniale faceva cadere le foglie dai pioppi. “Siediti e ascolta”. Accanto a me c’era Neil Young, cappotto di pelle, occhi imperiali, bocca galleggiante come drogata da quello che sentiva. Fare la musica dei ’70 col sangue riscaldato dai ’90, passando per tutto l’indie-rock di questo scampolo di anni 2000. Insomma mentre Neil mi diceva che avrebbe tanto voluto esserci nell’assolo finale di “(I’ll be your)Ashtray”, ripensavo che in fondo in Canada anche se non sanno giocare a calcio o a qualsiasi altro sport che non contempli un paio di pattini, il rock lo fanno alla grande. Ma così grande che sulla pastiera dovremmo versarci un po’ di sciroppo d’acero per deferenza. Chiudersi due settimane in una fattoria e pensare che suonare uno dei migliori album di questo 2008 è uno scherzo da ragazzi, cose che solo in casa Jagjaguwar possono permettersi con tanta scioltezza. Ce li vedi i Modest Mouse che suonano con i Black Mountain mentre i Minus Story giocano a nascondino nel deserto con i Wolf Parade? Ma questo non significa niente. Godere per 39 minuti, traboccare di elettricità rock e sperare che non esca più nessun altro disco perchè per ora si sta bene così. Bene come nella lunga scia ai limiti della psichedelia feroce di “Ghost Blues”: una danza sbilenca con molto malto nel cuore tra i fuochi del Grand Canyon. Bene come quando un plotone di chitarre bagnate nel Blues ed asciugate nel Rock’n’Roll tira dritto per la sua strada e a te rimane solo una folata di vento a smuovere i capelli. E poi c’è quella voce che pare venire dal fondo dell’ultima stanza vuota dell’ultima casa rimasta in piedi dopo l’uragano, quella voce, dannazione, taglia in due quel mezzo pensiero bruciacchiato che mi rimane. Se solo potessi ricordarlo, scivolargli vicino, così tanto da accarezzarlo con la stessa freschezza sonora di questo disco. Ah, ecco, forse domattina mi devo svegliare presto, non so; dentro la buca del suono si tinge tutto d’arancione e vacillo spaventosamente. |
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