|
è davvero misterioso il perchè Nick Talbot rimanga un artista così sottovalutato. Di certo la critica ha sempre tenuto d’occhio ed elogiato la carriera dell’occhialuto musicista britannico. Poi insomma, il ragazzo incide per la Warp di Aphex Twin e dei Battles, non proprio un’etichetta sconosciuta! La voce di Nick durante questo live è ancora più esile e più fanciullesca rispetto alle registrazioni in studio. A volte (per fortuna raramente) il nostro amato geek si perde per strada e si avventura in tonalità sbagliate”…e sembra pure un tantino svociato. I quattro Gravenhurst sembrano quattro spaesati studentelli abbondantemente fuori corso, quasi timorosi di affrontare il pubblico. Poi ti accorgi che paura non ne hanno proprio. Anzi Nick parla con il pubblico, fa qualche battutina salace, si mostra disponibile e aperto. A un certo punto il bassista Robin Allender si fa prestare da una astante un paio di occhialini dotati di alcune lucine intermittenti e con l’espressione raggiante (quindi totalmente in opposizione con la musica) si accinge a far pulsare il cuore nero di un altro pezzo mesto, crepuscolare, brumoso. Il Circolo degli Artisti è pieno solo per poco più della metà e, dacchè ero in fondo, arrivo tranquillamente in prima fila fin sotto i piedi di Nick. Ah, che artista sottovalutato. Scommetto che quando c’erano i Wombats due giorni fa il locale era pieno eh? Ma chissenefrega, Nicola è mio! Me lo coccolo io”… La strumentale “The Western Lands” apre le”…ahem”…danze. Scintillante, potente, imperiosa con quelle potenti e precise scansioni e le ariose aperture cinematiche. Si prosegue celebrando l’ultimo nato in casa Gravenhurst, con “She Dances”, “Hollow Men” (i ragazzi, durante il break “rumorista” del brano, si scatenano in un assalto sonoro ricco di selvaggi e contorti virtuosismi che non scorderò facilmente) e l’emozionantissima “Trust”. Si passa quindi alle sonorità vagamente “sinistre” di “Down River” e “The Velvet Cell”, con il quartetto in una versione più nervosa e più “misantropa”. Non si può dire che durante lo show (molto breve, tra l’altro: un’oretta ma forse anche meno) sia stata perfettamente ricreata la magia talbotiana. Tuttavia, almeno fino a “The Velvet Cell”, si è assistiti a una grande, a tratti commovente prova di bravura artistica. |
Link: Mp3: |
GRAVENHURST su IndieForBunnies: Recensione “THE WESTERN LANDS”
|