Ci sono due tipi di persone: quelli che si agitano facendosi portare via dalla corrente del tempo e quelli che stanno un passo fuori dal clamore e dalle mode. Gli Elbow appartengono a questa seconda categoria di soggetti, imperturbabili nel loro compassato distacco ad osservare fenomeni, luci della ribalta, suoni di plastica che sfrecciano veloci verso il nulla. Guy Garver e soci ci regalano il loro più bel disco di sempre, con essenziali arrangiamenti cinematografici sui quali si stendono irresistibili trame pop, ariose geometrie orchestrali, simili a ben poche cose fin ora ascoltate, in netto smarcamento dalle più banali declinazioni di qualsiasi genere musicale. Smussate certe asperità che bloccavano i lavori passati, i cinque inglesi portano ad un livello superiore la loro capacità di raccogliere scarti musicali altrui e di creare collà ge sonori perturbanti.
L’album è un carillon prezioso, tutto da aprire e sentire per essere proiettati in un mondo onirico a parte. Atmosfere al chiaroscuro bagnano riletture di stralunati ‘tango’; ipnotiche ballate figlie di valzer dilatati e rallentati accompagnano lo svenimento serale con classe strepitosa; non esiste un momento di stanca, ogni attimo è godimento puro e compiacimento nell’ascolto. La stella polare del gruppo ossia la ricerca sfrenata nella scomposizione dei luoghi comuni del pop, li ha portati a costruire frammenti di suggestione, fluttuanti in un universo liquido sospeso. E poi c’è la voce di Guy Garver, splendido crooner che fa sua l’attitudine ‘soul’ anni ’50 mischiandola con umori cantautoriali di fine secolo.
Gli Elbow sono l’altra faccia di Manchester, quella riflessiva, uggiosa, colta nei riferimenti, lontana anni luce dalla vanagloria dei riflettori televisivi e della carta patinata. L’atto di fede che ti chiedono è di raggiungerli sull’isola deserta dove suonano lontano da tutto e da tutti, lasciando ogni timore alle spalle. Se l’unica prova per sentenziare che un album sia riuscito consiste nella voglia di riascoltarlo immediatamente non appena sia finito, allora “The Seldom Seen Kid” la supera a pieni voti.
Credit Foto: Tom Sheehan