Un foglio bianco da riempire con la consapevolezza di dover scrivere qualcosa di interessante, il pesante fardello di avvertire una fortissima sensazione di aspettative riposte e speranze nemmeno troppo celate. Questo probabilmente era lo spirito con cui i Death Cab For Cutie si appresatavano a comporre la canzoni di “Narrow Stairs”, dopo quel “Plans” che tradiva lo spirito indie della band accasatasi alla multinazionale del disco Atlantic. Personalmente non guardo alle etichette discografiche, ma devo ammettere che l’album, comunque godibile, alla lunga si è dimostrò col fiato corto. Non imputo tutto questo al cambio di label, però io non sono “tutta la gente” e molti hanno pensato la cosa più banale, tirando in ballo la svendita del gruppo e dando adito a tutte quelle chiacchiere che ora stanno a zero.

E stanno a zero perchè “Narrow Stairs” merita un plauso semplicemente per la capacità di essere innovativo pur non rinunciando all’essenza di una band che non tradisce se stessa. La destrutturazione della forma canzone classica, che non tradisce la componente melodica e l’esy-listening del recente passato è la caratteristica principale di un sound che si rinnova senza stravolgimenti di sorta, si rinfresca come una parete crepata da qualche anno, che è sempre la stessa ma ha una luce nuova.

Meglio riascoltarlo diverse volte, magari in cuffia e con attenzione, poco a poco il suono svelerà il suo arcano, mostrandoci un lato romantico e allo stesso tempo più cupo del solito, meno impigrito e a tratti più sperimentale: basti pensare alla lunga intro strumentale di “I Will Posses Your Heart”, il brano che esce come singolo del disco . Non è facile imbattersi in un disco pop con una chiave di lettura così complessa, non solo perchè i Death Cab non sono gli ultimi arrivati, piuttosto perchè vengono aggiunti progressivamente elementi nuovi in un solco tradizionale. Piccoli accorgimenti che non emergono immediatamente e per questo intrigano, spingendo all’ascolto ripetuto nonostante si tratti essenzialmente di pop duro e puro. Le melodie cristalline del recente passato non mancano, soltanto svestite della classica impostazione strofa-ritornello-strofa per cui necessitano del tempo necessario per essere assimilate fino in fondo. Non so se questo disco diventerà uno dei migliori dell’anno in corso, ho la sensazione che soltanto il tempo potrà rivelarne le reali capacità , personalmente non lo lascerò incautamente a prendere polvere sul mio scaffale. Per ora tre stelle e mezzo tendenti a quattro, poi tra qualche mese ne riparleremo.

Credit Press: Eliot Lee Hazel