Io li immaginavo una specie di “Arancia Meccanica” della musica.
Che al solo vederli ti trasmettevano inquietudine (non paura) e un’onniscienza innata che permetteva loro di guardarti dall’alto del loro misticismo.
Insomma, la nurave ridotta all’osso, scarna e tagliente.
Poi, Questi Nuovi Puritani salgono sul palco, a presentare il disco d’esordio “Beat Pyramid”, e si dimostrano molto più umani del previsto. Ovviamente.
Eccetto Jack Barnett che veste una maglia metallica.
E, nonostante la durata (35 minuti”…), hanno superato la prova.
Perchè i These New Puritans, dal vivo, non sono come suonano su disco. Non c’è tutto quel timbro modaiolo e nurave a cui abbiamo abituato le orecchie, ma hanno molto di più.
Ci senti dentro i Gang Of Four, i Joy Division, i PIL, e la concezione di post-punk del 21 °secolo.
Jack ci regala una voce ossessiva e piena di delay, molto più sporca che su disco, che risuona ad eco dentro il Covo quale unico alone mistico della serata.
George, fratello gemello di Jack, domina la batteria come raramente capita di vedere, alla quale, nei momenti clou, viene raggiunto da Tomas Hein (basso e Mac), mentre la “lei” del quartetto resta in secondo piano.
Il post-punk e la chitarra wave predominano, scordatevi le fascette colorate klaxonsiane, qui la musica è molto più intellettuale. Anche il singolo, “Elvis”, suonato con una minor freddezza, è molto più pieno e corposo, l’elettronica acida è lasciata un po’ ai margini per privilegiare i toni cupi e più avvolgenti.
L’unica cosa che mi ha lasciata perplessa sono le movenze un po’, come dire, hip hop del cantante Jack, da far invidia ad un vero rapper. Sarà che la musica dei These New Puritans non è decisamente “ballabile”, e quindi ognuno ci prova un po’ come riesce, però”…
E così, senza troppe parole e con il consueto distacco inglese, ci salutano, non concedendo nemmeno un bis. Ma sono decisamente belli da vedere.
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Aurelien Guichard from London, United Kingdom, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons