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Lei se n’è andata, il deserto l’ha inghiottita. Difficile dribblare l’ovvio rimando al romanzo di John Fante, a maggior ragione quando sin dal titolo è evidente l’omaggio ad uno dei più grandi libri della letteratura americana del secolo scorso. Tornano i Calexico dopo il discusso “Garden Ruins”, criticato dai puristi per l’approccio molto più morbido e regolare. Ammonimenti a mio avviso ingiusti, ma si sa, i fans a volte fanno più danni che altro. “Carried To Dust” è un passo indietro nelle scelte stilistiche, ma da molti sarà visto come un passo avanti per la qualità espressa. Personalmente credo che i pregi del precedente lavoro si confermino nelle nuove canzoni che sembrano muoversi su più fronti. Sono preponderanti le influenze tex-mex, marchio di fabbrica della creatura di Burns e Convertino, si riafferma anche il cantato in spagnolo, anche se le polverose terre di frontiera sembrano essere colpite da un sole meno cocente e da atmosfere più pigre. Si amalgamano anche episodi che richiamano l’alt-country nudo e crudo quando tornano le melodie regolari e sinuose stile Whiskeytown. Un’alternanza che insinua qualche dubbio sulla volontà o meno di affrontare la musica in una direzione precisa, forse troppo in bilico tra il voler osare qualcosa di diverso e il timore di esserne inghiottiti. Li chiamano dischi di transizione questi, probabilmente più per comodità che per altro. Non è la festa mariachi sotto la coperta di stelle del New Mexico, nemmeno il viaggio oltre frontiera dove si spezzano i sogni e le storie si bagnano di tristezza e sensazione di perdita. E’ piuttosto un tiepido tramonto da contemplare, l’inganno della nostra quotidianità dove le persone che ci passano accanto si sciolgono come schegge di ghiaccio sotto il sole cocente. E non resta che un pugno di polvere bagnata, almeno fino a quando il vento non la soffierà via un’altra volta. |
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