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E’ tutto pronto già da un bel po’. I giornalisti lo sanno bene e come bestie fameliche aspettano pazienti alle porte di Portland: prima o poi qualcosa di buono uscirà . E’ puro istinto corroborato da fatti concludenti: qualcosa mormora nell’Oregon. Non siamo sicuri che si stiano sviluppando situazioni simili a quelle che deflagrarono dalle parti di Seattle una quindicina d’anni orsono, ma il fermento sonoro che sprizza dai pori della piccola città americana legittima ad essere gaudenti verso ogni nuova uscita discografica che provenga da quelle zone. Il fenomeno se vogliamo è anche più vasto dell’esplosione rock&roll di Cobain, Vedder e compagnia cantando, laddove la diversità musicale dei musicisti in ballo auspica un radioso futuro. Sarà che bisogna battere il ferro finchè è caldo, ma un gaudente entusiasmo pare percorrere le spine dorsali di chiunque decida di soggiornare da quelle parti. Prendiamo ad esempio il caso dei Bark Hide And Horn, una band strampalata dove il soggetto più sano di mente afferma di essere cresciuto avendo come mito Melville Bell Grosvenor, direttore del National Gegraphic dal 1957 al 1967. Melville oltre ad essere stato un innovatore nel suo campo, poteva vantare illustri ascendenze, essendo il nipote di un’altra mente inquieta quanto feconda, quell’Alexander Graham Bell che mise il suo zampino nell’inventare il telefono. Ne esce fuori un mix di musica e parole coinvolgente, grasso, stratificato, saturo, straniante ancorchè rincuorante, ingolosito dalla bravura nell’amalgamare con navigata perfezione tutti gli ingredienti a loro disposizione. Da una parte v’è un richiamo alle chitarre sgangherate ed epiche dei Neutral Milk Hotel con innesti deliziosi di trombe e fiati in stile Okkervil River, dall’altra c’è una grande capacità di scrittura che emerge in testi ironici, mai scontati, architetture vecchio stile dove, alla stregua di un moderno Esopo, trovano riparo storie di formiche stanche di essere schiave della loro regina, oppure le avventure di Ham lo scimpanzè che nel 1961 fu lanciato nello spazio da Cape Canaveral, o ancora omaggi a Jacques Costeau e allo stesso Melville. Andy Furgesson si muove comodamente nei meandri di un folk-rock energico, vitale, rutilante a tratti trasbordante, centrando sempre la melodia giusta, arricchendola con ghirigori degni della miglior tradizione indie-rock americana. Chitarre elettro-acustiche, bassi in gran forma, pedal steel, sassofoni, armoniche, theremin, tastiere, mandolini, glockenspiel, tromboni, vibrafoni, organi, vecchi aggeggi elettronici, percussioni di ogni genere collidono tra loro regalando uno spettacolo affascinante, spingendo l’ascoltatore fin dove lo stupore si schiude in gioia sommessa per quanto sia anomalo trovare una maturità tanto evidente in una band al suo disco d’esordio. Che abbiano inventato o meno un nuovo genere musicale, il folk zoologico dei Bark Hide And Horn si ritaglia a gran voce un posto tra i dischi da coccolare di questo 2008. |
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