Gocce pesanti, stille rotonde e piene si confondono alle lacrime disperate sotto un cielo di cianotiche sembianze. Il grido si fa concerto di emozioni trattenute, esplose come un turbine dalla bocca distorta, piegata nel volto della figura violata; pelle, dipinta da sporcizia e sangue, occhi contratti in cerca di una pace visiva negata, infine sopiti dall’acqua nella guerra conclusa. Corpi e morte, dolore e assenza… via! Lungo la strada, lontano…
“Frontièrs” prende avvio dagli attimi immediatamente successivi la rapina messa a segno da cinque ragazzi francesi. Il colpo, ideato approfittando dei disordini causati da motivazioni politiche, non si risolve al meglio, tanto che uno dei giovani muore in seguito alla pallottola di un poliziotto. I “‘fortunati’ superstiti si lanciano nella fuga in Olanda, dove potranno spartirsi il malloppo, ma la sosta ad un vecchio motel cambierà , decisamente, i loro piani. Il film di Xavier Gens vede un inizio distante dal genere horror, nel quale virerà vertiginosamente in un secondo tempo, mostrando le azioni criminose di normalissimi delinquenti, sullo sfondo di una guerriglia sociale. Le modalità per cui avviene una scelta simile sono però più vicine al preambolo allusivo di “‘hotel’ ““ attraverso le ripetute tracce e l’atmosfera di latente follia ““ che non all’esempio di “Dal Tramonto All’Alba”, opera realmente capace di sorprendere lo spettatore e, in effetti, riferimento piuttosto presente per “Frontièrs” (furto, fuga, fermata fatale).
La pellicola di Gens infonde una notevole dose di sconcerto, non tanto per le crude esibizioni di violenza, senza dubbio feroci, quanto per il giudizio altalenante che si ottiene da un film con ottimi pregi ma anche, purtroppo, affetto da colpevoli difetti.
La fotografia di Laurent Barès costituisce la principale qualità di “Frontièrs”, creando situazioni ambientali impregnate di angosciante sofferenza e delirante panico. Gli interni sono investiti di livida lordura, quasi ricoperti da una fuliggine corrotta e grave, con prevalenza di tonalità ocra, ruggine e verde; gli esterni presentano invece un aspetto al limite del fiabesco, attraverso cromatismi tendenti al violaceo e al blu, fino a risultare profondamente manipolati in termini di pigmentazione scenica.
La regia di Xavier Gens è solida, nonostante la giovane età e l’inesperienza a livello di direzione unica; abile, intuitiva, perfetta dal punto di vista tecnico, con l’esposizione di quadri sporchi e disturbanti, e l’uso frequente di primi piani e perdita di messa a fuoco, ulteriori, indovinati, espedienti al fine di raggiungere lo stato di ininterrotto affanno.
Le noti dolenti arrivano dalla sceneggiatura, intrisa ““ veramente troppo – di rimandi ad esempi più o meno recenti. Le ispirazioni maggiori derivano da “Non Aprite Quella Porta”, di Tobe Hooper, e dal vicino dittico di Rob Zombie, dal clima sudicio ed immorale a più evidenti richiami come l’ingannevole soccorso alla vittima lungo la strada, o l’indicazione al cannibalismo della “‘famiglia’. Inoltre, la sequenza claustrofobica nel cunicolo conduce a “The Descent”, mentre il raccapricciante taglio dei tendini a “Wolf Creek”; modelli illustri, sfortunatamente assimilati in soluzioni fini a sè stesse, prive di quella giustificazione interna agli originali.
“Frontièrs” è, in conclusione, una buonissima prova di regia, visivamente affascinante, degno capitolo di una scuola francese horror di notevoli prove ed ottime speranze, purtroppo inficiata da una irritante pigrizia testuale che ne svaluta il valore, nonchè la premessa di un interesse sotterraneo alla riflessione sociale, per mezzo di uno specchio di pessimistica rifrazione. In una realtà dove la normalità è rappresentata da ostilità , conflitto e ingiustizia, le parole iniziali di Yasmin prendono il sapore della rassegnata derisione: Mi chiamo Yasmin. Sono incinta di tre mesi. Si dice che ognuno di noi è nato uguale secondo la legge. Non è quello che succede nel mio mondo. Chi vorrebbe nascere tra caos e odio? Ho deciso di proteggere il mio bambino dal male.
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