Strana carriera musicale quella dei Killers. Prima irrompono con prepotenza nel panorama indie con un singolo assassino come “Somebody Told Me” e fanno gridare al miracolo del pezzo intelligente che è anche divertente e che non deve procurare vergogna o sensi di colpa se ti fa venire voglia di ballare; perchè i Killers sono ironici, ricordiamocelo. Da lì in poi questo fenomeno dai risvolti allarmanti diventerà noto come ‘maledizione del dancefloor’, e il popolo indie non avrà ritegno nell’adottare l’alibi dell’ironia per giustificare qualsiasi aberrazione che a volte lo vede andare in deliquio per dei pezzi che francamente non hanno nulla da invidiare alla discomusic da lungomare anni ’90.
Dopo questo felice esordio il quartetto di Las Vegas, forse per dimostrare che può giocare anche sporco, ha la malsana idea di prestare un tributo al rock americano da stadio (vedi Springsteen) con “Sam’s Town”, ma l’esperimento fallisce perchè si sa, la già citata ironia mal si accompagna con l’epicità e la tragedia richiesta dal rock da stadio. In quell’occasione i Killers devono aver deciso che era meglio se quel lavoro lo lasciavano fare agli altri. Cosa fanno dopo? Pubblicano una raccolta di inediti e b-sides francamente incolore, se si trascura la collaborazione glamour con nonno Lou Reed in “Tranquilize” e il singolo natalizio “Don’t Shoot Me Santa” che alla fine divertente lo era.
Così dopo questa sbornia di sperimentazioni fallite i nostri decidono di tornare al primo amore, l’elettropop anni ’80 che di più non si può, condito dal solito atteggiamento di divertita superiorità e da qualche ammiccamento alle sigle dei telefilm dello stesso tragicomico decennio a cui sono devoti. E il risultato dice che hanno fatto bene; che quando i Killers restano nel loro campo fanno tutto quello che ci si aspetta da loro: divertono, fanno ballare, a volte commuovono anche (“Goodnight, Travel Well”).
“Day And Age” ha i suoi singoli radiofonici (“Spaceman” e “Forget About What I Said”, che in realtà è una bonus track) pronti a traghettare l’hype dell’album per un bel po’, ha le sue ballate intimiste ma energiche (“A Dustland Fairytale” e “Losing Touch”) e si concede il lusso di azzardare un brano come “I Can’t Stay” che fatto da chiunque altro sarebbe risultato ridicolo. Ma loro sono i Killers, e questo è pane per i loro denti.
L’aspetto più interessante di “Day And Age” è che viene fuori già dopo il primo ascolto e questo conferma il fatto che i Killers sono essenzialmente una buona band commerciale (nel senso più nobile del termine) e che dovrebbero insistere su questa strada invece di farsi tentare dal lirismo impegnato che non li appartiene.
Due stoccate però vanno fatte: i fiati e i coretti in “Joy The Ride” sono francamente imbarazzanti (sembra di essere catapultati per sbaglio in una scena del film ‘Studio 54’) e “Human” potevano risparmiarsela. Perchè il quesito Are we human or are we dancer?, anche con tutta la buona volontà , non è un quesito esistenziale o divertente. è insulso e basta. E veramente qui si spera che a nessuno venga in mente l’idea di giustificarlo con la solita maledetta ironia, perchè dopo un po’ la faccenda diventa irritante. Malgrado questo, salutiamo il ritorno dei Killers con un sospiro di sollievo. Bentornati a casa ragazzi.