Strofa, ritornello, strofa: la struttura canonica di ogni canzone pop, nell’accezione più ampia di questo ultimo termine. Magari un bridge, un assolo, una giustapposizione tra momenti pacati e passaggi più pesanti, un riff che ritorna per radicarsi nella testa di chi ascolta, una lunga coda psichedelica… Ma la formula chimica ideale della musica popular resta quella sopra descritta. E tuttavia ci sono alcuni gruppi che assolutamente non riescono a restare ingabbiati in archetipi e strutture canoniche. Tutto questo inutile spreco di parole per dire che gli Sholi proprio non sanno che farsene di versi e ritornelli.
Direttamente dall’entroterra di San Francisco, il terzetto di casa Quarterstick/Touch and Go si presenta al mondo con un ricercatissimo biglietto da visita che è un centrifugato di jazz, post-rock, progressive e miriadi di riferimenti musicali più o meno celati (June Of 44, Beatles, Sonic Youth, Karate, Mogwai, Jeff Buckley), con un orecchio teso ad apprendere la lezione sonora dell’Occidente ed un altro rivolto alle radici orientali del cantante e chitarrista Payam Bavafa. Musica destrutturata e cerebrale ma con una spiccata sensibilità per le aperture melodiche, spigoli vivi e attimi di quiete che si frantumano nell’esplosione di improvvisi maelstrom sonori, misure dispari e derive rumoristiche: abbastanza per restare spiazzati al primo ascolto. E del resto si tratta di canzoni che traggono ispirazione dall’esperienza di Payam come ricercatore in un istituto di neuroscienza, dai suoi studi sul funzionamento della memoria umana e sui meccanismi con cui la mente processa e riformula le idee tramite ricordi selettivi. Tutto ciò si riflette nei testi raffinati ed intimisti – We decide what we cherish and what we forget, what we leave at the other end – e ancor più nella geometria frammentaria del disco che zigzaga tra pause e ripartenze, quasi fosse una corsa nevrotica sulle montagne russe tra stasi tranquille ed ovattate, fughe folli verso picchi dissonanti e vertiginose discese emozionali trascinate dal drumming imprevedibile di Jonathon Bafus. Ciliegina sulla torta, una indiscutibile padronanza dei mezzi ed una tecnica invidiabile.
L’esordio degli Sholi è un lavoro dalle mille sfaccettature, in grado però di palesare una direzione musicale ben chiara, segnata dalla bisettrice tra melodia e psichedelia. Un disco di qualità che sfiora livelli di eccellenza, come nell’empatica “November Through June” o nell’opening-act “All That We Can See”, e che difficilmente porterà alla noia. Una piacevole sorpresa nell’immediato ed una promessa per il futuro, con Greg Saunier dei Deerhoof alla produzione come garante illustre.
MySpace
2. Tourniquet
3. November Through June
4. Spy In The House of Memories
5. Any Other God
6. Dance For Hours
7. Out Of Orbit
8. Contortionist