I sequel non ammettono eccezioni: così, anche nel nuovo “Transformers” tutto è più grande e nelle intenzioni più ambizioso.
La nuova lotta tra Autobots e Decepticons per il controllo dell’energia sulla Terra – indispensabile per la loro sopravvivenza – non è incarnata solo da Optimus Prime e da Megatron, ma è allo stesso tempo un acceso conflitto tra il regista Michael Bay, il produttore Steven Spielberg e la coppia d’oro di sceneggiatori formata da Alexander Kurtzman e Roberto Orci.
Come l’Allspark distrutto alla fine del primo film, e poi disperso per il mondo in schegge piene di una forza incontenibile, così il film esplode in rivoli difficilmente quantificabili, che segnalano le tracce del contributo di personalità spiccate, che difficilmente riescono a venire a patti l’una con l’altra.
Perchè se è vero che Spielberg inserisce sempre un personaggio che nel film incarna la sua sensibilità , il suo punto di vista e le sue idee, questa volta l’analogia con l’anziano transformer Spitfire, simbolicamente conservato allo Smithsonian di Washington, come un pezzo da museo, va ben oltre e diventa un intervento diretto, una rivendicazione incontestabile del proprio ruolo di nume tutelare.
Non solo perchè il giovane protagonista vive momenti di ossessione epifanica, scrivendo ovunque segni incomprensibili come Richard Dreyfuss vedeva in ogni cosa i contorni della Torre del Diavolo, in Incontri ravvicinati del terzo tipo.
Nel momento in cui cede ad Optimus Prime i suoi pezzi, quelli necessari ad acquistare maggiore potenza in vista dello scontro finale, Spielberg rivendica su Michael Bay il valore della propria lezione e della propria esperienza, come un contributo necessario ed indispensabile, in una riproposizione di quel rapporto tra padre/figlio che è lo stesso di quello tra Harrison Ford e Shia LaBeouf in “Indiana Jones E Il Regno Del Teschio Di Cristallo”.
Se c’è un vincitore indiscusso è infatti proprio il regista, che ha sfruttato al meglio l’appoggio del suo mecenate: il suo è un trionfo sulla scrittura, sugli sceneggiatori Alexander Kurtzman e Roberto Orci.
La sua ostinazione per il movimento non si fa frenare dalla storia, e anzi ne spezza progressivamente i vincoli e gli anelli della catena della consequenzialità .
E’ il pieno compimento del sogno di Bay, quello di uno sguardo che non può mai stare fermo, che non insegue la narrazione ma che è al contrario talmente veloce da pretendere che essa stia al suo passo, talmente frenetico da non riuscire a concentrarsi nemmeno su una singola inquadratura, preso com’è ad immaginare quella dopo: ed è proprio per questo che il suo cinema può anche risultare indigesto.
Proprio perchè è gratuito e non motivato: libero sì, ma anche eccessivo.
La sceneggiatura resta in densi grumi che vengono prontamente sconfessati da un ritmo insostenibile per la parola: il momento in cui Shia LaBeouf abbandona la sua amata Bumblebee per il college dovrebbe essere fondante, la presa di coscienza della sua maturità (il sentimentalismo di Spielberg è talmente in avanzo che riesce a donare anima persino ad un robot alto svariati metri), se non fosse che la Camaro riappare pochissimi minuti dopo, come se non fosse successo niente, come se la sua telegenia in movimento fosse tanto irrinunciabile da non concedere spazio a balzi in avanti ed indietro nella psicologia dei personaggi.
Eppure, proprio perchè dovevano fronteggiare un simile avversario, i due (che invece hanno avuto il loro ruolo nel successo di “Star Trek” di J. J. Abrams) si sono sforzati di allestire un intreccio robusto, pieno di occasioni di continuity, di allargamenti degli scenari narrativi tali da poter essere sfruttati per una lunga serie di capitoli.
Pur avendola inventata loro, la Matrice del Comando (che sparisce in mezzo ad esplosioni e duelli, come molte altre figure) gli viene sottratta da una forza che non riescono a contrastare.
E in mezzo a tante creazioni digitali, la più finta di tutte appare proprio Megan Fox, il cui viso addirittura sembra avere contorni indefiniti e sbiaditi.
Troppo bella, troppo perfetta per essere vera.