Il marchio Stones Throw Records è divenuto col tempo sinonimo di sicurezza, di qualità , di spudorato amore per tutti gli aspetti e le incarnazioni della black music ed è dunque con grande piacere che abbiamo prestato le orecchie al debutto di Andrew Mayer Cohen in arte Mayer Hawthorne: infatti il vocalist proveniente da Detroit (e vedrete, non è affatto un caso) pare un figlio, fino ad oggi sconosciuto, di Marvin Gaye peccato poi scoprire che è bianco, pallido quasi come me. Riguardo il suo esordio non ci pare giusto parlare di passione per il soul anni ’60 o ’70, ma proprio di un’ossessione nei confronti del sound Motown: immaginatevi l’ultimo, reazionario disco di Jamie Lidell, fatto? Ecco Hawthorne è molto più passatista dell’inglese: nel suo album non troverete alcuna rifinitura elettronica, nessuna slabbratura. Troverete invece orchestrazioni di ampio respiro, un gusto quasi pop, un’abbondante spruzzata di melassa e soprattutto una grande interpretazione: sorprende soprattutto però la genesi del lavoro, che non vanta produzioni eccellenti o chissà quanti strumentisti nascosti e bravissimi, ma un’attitudine ‘do it yourself’ di tutto rispetto (senza per questo rinunciare a una curatissima resa sonora).
E allora in questo “A Strange Arrangement” si susseguono standard soul senza tempo, usciti l’altro giorno ma dall’incedere già classico: prendete la title-track, dopo pochissimi ascolti vi sarà penetrata nel cranio e non potrete più scacciarla. Altrove si alzano i ritmi e ci si ritrova tra le mani rithm’n’blues come non se ne sentivano da tempo: è il caso di “Your Easy Lovin’ Ain’t Pleasin’ Nothin'” o “Maybe So, Maybe No”.
Altrove siamo di fronte all’euforia funk propria di Jamie Lidell soltanto un poco edulcorata (“The Ills”), mentre certe volte si esagera con lo zucchero (“I Wish It Would Rain”).
In definitiva un disco che è un piacere ascoltare, che vi ritroverete a canticchiare nei momenti più impensabili, che è decisamente una bella scoperta: l’amore per la tradizione e il talento ci sono tutti, per non parlare di un’ottima voce ben supportata anche da buone capacità interpretative, manca però un po’ di coraggio compositivo, ma poichè Mayer Hawthorne è di casa alla Stones Throw le possibilità di migliorare ci sono tutte (m’immagino soltanto cosa potrebbe accadere se si facesse dare una mano nei tappeti strumentali da geni come Madlib o Peanuts Butter Wolf).