Alzi la mano chi ha sentito parlare almeno una volta dei Demon Fuzz. Uhmm.. Lo sospettavo.. Ma non è colpa vostra. Se il mondo fosse un posto migliore dove vivere, ove regnasse la giustizia e l’equità  sociale, i Demon Fuzz verrebbero considerati una delle cose migliori mai accadute alla musica moderna. Non è un’iperbole, nè un’esagerazione e basta ascoltare attentamente questa incredibile miscela di fuzz-rock, funk, afro beat e soul psichedelico per gridare al miracolo e sposare appieno la tesi di cui sopra.

Il disco esce nell’anno 1970 nella fiorente e sfortunata scena underground londinese condivisa da gruppi egualmente grandiosi ma relegati nell’oblìo (si spera ancora per poco) come Cymande, Black Velvet, Noir. I Demon Fuzz si muovono con slancio, dapprima con un nome diverso, Skatalites, proponendo una sorta di ska festoso e stradaiolo per i club londinesi, finchè nel 1969 cambiano nome e pelle esibendosi con regolarità  all’Interstate Road Show in una miscela di Rock, tribalismo, psichedelia, soul e funk, traendo ispirazione da modelli come Sly and the Family Stone, Jimi Hendrix ed i Funkadelic di George Clinton. I Demon Fuzz piacciono talmente che verranno scritturati nientemeno dalla Pye attraverso una sotto-label, la Dawn (in America la Janus) che produrrà  il loro unico, incredibile one-shot: “Afreaka!” dal titolo di una canzone del grandissimo trombettista Lee Morgan contenuta nel suo disco del 1967, “The Sixth Sense”, con una copertina alquanto bizzarra: un omaccione nero, muscoloso, che guarda fiero dinanzi a sè con un passamontagna colorato e dal naso a punta: tentativo abbastanza palese di arrivare ai giovani dei college londinesi, ancora affamati di psichedelia.

Il contenuto è però immagnifico: si parte con l’arpeggio Sabbathiano, pieno di fuzz e distorsione di “Past, Present and Future” che dopo neanche un minuto si lascia andare ad uno swingante ritmo afro con assolo di chitarra in wah-wah, per poi cambiare di nuovo pelle dopo altri tre minuti trasformandosi in un irresistibile reggeae-boggie con contrappunto di fiati ed organo. “Disillusioned” è un’intensa ballata folky stile Traffic con tanto di percussioni, che poi diventa qualcosa come un incrocio tra il Van Morrison di “Moondance” e le migliori sortite funk dei Temptations con una spruzzata di progressive-rock.

Ma il bello deve ancora venire. Se “Another Country” è una potentissima miscela di afrobeat e funk, con un incredibile interludio psichedelico, una sorta di raga, suonato da batteria, basso, organo e sax, sono le tracce conclusive l’apice del disco: il gospel evoluto di “Hymn to Mother Earth”, una zona franca tra Temptations, Bob Marley e Funkadelic. Infine la conclusiva “Mercy”, un funky-boogie irresistibile ed interamente strumentale con un assolo di trombone assolutamente fantastico ed una ritmica metronomica. Anche le Bonus Tracks sono una miniera d’oro: la ripresa quasi progressive del classico di Screamin’ Jay Hawkins “I Put a Spell on You” che mette in mostra le incredibili capacità  vocali del cantante Smokey Adams, una sorta di Steve Winwood nero, una “Message to Mankind” in odore di Traffic e la strumentale “Fuzz Oriental Blues”, con un intro alla Hendrix ed un corpo sonoro tra Traffic, Cream e Fela Kuti. Da non credere ai propri timpani.

Di recente, precisamente alla fine di Aprile, la Esoteric Recordings ha ristampato questo grandissimo capolavoro, un tempo saccheggiato dai Dj di tutto il mondo. Correte ad acquistarlo, non ve ne pentirete. Vostro Barocciga.