Per fortuna esistono ancora locali come il Connie Douglas, peraltro bellissimo, a Milano che credono in una programmazione musicale alternativa a costo zero per il pubblico.
E non parlo di gruppuscoli pleonastici e ben vestiti che nella maggior parte dei casi sfruttano articoli immeritati, ma di talentuosi esponenti di quella ribellione mentale che ha radici profonde nel cemento armato della lealtà intellettuale.
Peccato che la città una volta conosciuta come avanguardista dimostri, sempre di più, di aver perso la sua peculiare spinta indagatrice in nome di ripetitivi glamourismi isterici ed esposizione virtuale, disattendendo gli appuntamenti, sì di nicchia, ma con indubbie valenze artististiche e carisma ironico.
Ecco allora il duo di Amsterdam (al loro secondo disco e freschi di marchetta per la pubblicità Fiat) iniziare in ritardo di un’ora sull’orario previsto, in attesa di gente che mai si prenderà a botte per varcare la soglia del locale, davanti ad una cinquantina di cristiani circa, tra curiosi, wavers sbalorditi per l’intimità dell’affaire olandese e vecchie pellacce già viste sotto i palchi di mezzo nord Italia.
Gli Zzz srotolano a razzo un set devastante ed incazzoso, equamente ripartito tra il disco d’esordio e quest’ultimo “Running With The Beast”.
Batteria metronomica, voce effettata, synth e tastieroni vintage a go go.
Sembra di stare su un treno prossimo al deragliamento dove tutti urlano terrorizzati, in compagnia di maniaci rabbiosi incatenati alle poltrone e con l’unica consolazione di esser a bolla con i blisters di anfetamine privi di ricetta medica.
Ed il Connie, con il suo immaginario di B-movies e Miami Vice a pacchi da sei, incarna perfettamente questo viaggio nella psiche alterata degli astanti, deliziati da piaceri masochistici equamente ripartiti tra il garage traballante di Cramps e Dejà Voodoo e le perversioni care ai Suicide più in botta.
12 pezzi in fila uno dietro l’altro come piccoli indiani ed una probabile versione della hit di Mtv , “Grip”, che ancora oggi nessuno ha capito se sia stata o meno eseguita. Tra momenti di teatro dell’assurdo con il tastierista (Daan) in odore di sanguinosi stage diving, ed il batterista (Bjork) sempre più clone ragionato tra Mike Muir e Bonzo Bonham.
Alla fine usciamo tutti felici a fumarci una paglia, senza rinunciare alla sana e vecchia abitudine di curiosare nel merchandising, questo sconosciuto, del gruppo.
Forse un pò vanagloriosi nell’affermare strafottenti: Io c’ero!
Io c’ero!
Appunto.