“Nemico Pubblico” è il sontuoso manifesto del cinema digitale.
Un pamphlet che abdica in modo volontario a ricorrere alle scene madri, al racconto dell’epopea a cui pure avrebbe potuto cedere volentieri, visto che tra i personaggi c’è niente meno che John Edgar Hoover: non che Mann vi rinunci, ma la descrizione di una nuova nazione in fasce resta appesa al sottotesto, e il regista non fa in modo di poggiare sulla sua forza.
Allestisce piuttosto un monumento che gira intorno al cinema per quasi due ore e – come il mirabile “Bastardi Senza Gloria” di Quentin Tarantino – decide di far terminare la sua corsa dentro un sontuosa movie palace in stile art deco.
Perchè poi la scena madre c’è – con tanto di colonna sonora melodrammatica – ed arriva appena prima dei titoli di coda: ma è un prestito, oppure addirittura un plagio di qualcosa di preesistente.
E’ John Dillinger che fa quello che farebbero tutti appena usciti da una sala: sogna di essere Clark Gable, che ha appena visto sullo schermo in “Le Due Vie” di W. S. Van Dyke II.
E’ vero che è la cronaca a venire incontro al regista – Dillinger venne effettivamente ucciso appena fuori dal Biograph di Chicago – ma è pure altrettanto evidente come Mann giochi sui primi piani dei protagonisti in alta definzione (quello di Depp che si immedesima, e quello di Bale che lo aspetta all’esterno), e sullo specchio rappresentato dal divo in 35 millimetri e in bianco e nero, o dalla straordinaria potenza di Myrna Loy avvolta di flou, che diventerà la stessa forza di Marion Cotillard pochi minuti dopo, nell’ultima inquadratura del film (del resto, è così che Dillinger la immagina nel buio della sala).
Come a dire che il cinema alla fine deve sempre restare ancorato alla sua tradizionale carica emotiva, e non deve ripiegarsi più del dovuto sull’eccessiva attenzione alla tecnica e al progresso: le cose che contano per la sua sopravvivenza sono le stesse di sempre.
Tutto “Nemico Pubblico” gioca su un continuo tira a molla con la tradizione, e lo fa in modo aperto, quando prende i cinegiornali dell’epoca e li mostra nel loro farsi, sul set/realtà dell’arresto del criminale.
Lo si potrebbe confrontare con “Changeling” di Clint Eastwood, per determinare l’acceso classicismo dell’uno e l’insistito gioco dialettico dell’altro: due maestri messi non solo davanti all’epoca d’oro dei rapinatori, ma anche all’apogeo di Hollywood e di quel linguaggio cinematografico che le accademie sono solite chiamare ‘classico’.
Ed è questo il terreno di confronto più interessante: la caccia all’uomo, la confusione dei ruoli tra buono e cattivo, l’ambiguità delle istituzioni e il fascino degli outlaw – tutti i temi presenti in questo suo ultimo film – sono da sempre al centro della poetica di Michael Mann.
Stavolta è sul terreno della forma, nella sfida all’immaginario acquisito con una differente qualità – ontologica e fisica, la vecchia emulsione chimica della pellicola – della visione, che Mann gioca la sua partita più importante: e così, è possibile vedere la Cotillard girare per casa sua con vestiti d’epoca, ed essere ripresa come se si stesse muovendo con una webcam a portata di mano.
Gli esempi possono essere innumerevoli: i campi/controcampi del tutto sbagliati, o i dialoghi completamente ripresi di spalle (come quello all’ippodromo): la rottura è ancora più evidente perchè non sono battute estemporanee – come era nel caso della Nouvelle Vague – ma sono vere e proprie dichiarazioni d’amore che Dillinger fa alla sua donna.
E’ come se sotto l’occhio della nuova lente tutto fosse casuale: ci si innamora più dei dettagli che non dell’insieme, dell’effetto che non della coerenza logica (il disordine totale della sequenza di inseguimento nei boschi, in cui non si capisce chi insegue o chi è inseguito, chi uccide o chi è ucciso).
E’ uno sguardo che non si fissa e che non si concentra: probabilmente “Nemico Pubblico” verrà accusato di avere scarso pathos, ma è un sacrificio necessario per il lungo viaggio del digitale.
Aspetta per tutto il film di ancorarsi a qualcosa, di trovare una giusta educazione.
Mann gli apre la strada.