Dopo aver esplorato Africa, Cuba e Perù, la Vampisoul punta i riflettori sulla Repubblica Ceca e più precisamente su uno dei maggiori talenti jazzistici venuti fuori dalla terra di Kafka: Emil Viklicky. Pianista eclettico, con un’innata passione per il jazz anni 60 scaturito dal meraviglioso quintetto di Miles Davis, nella fattispecie Herbie Hancock ed il suo superamento del modale o gli escursus metafisici di Chick Corea ed i suoi Return to Forever nel corso dei Seventies, Emil Viklicky si muove con slancio tra fusion, funk, tentazioni da big band e improbabili commistioni tra la tradizione Moldava, il folk rock ed il free jazz, incespicando più volte nelle affilate tagliole della censura del regime comunista, senza darsi affatto per vinto ma giungendo sino ai giorni nostri con un curriculum impressionante di collaborazioni, non ultima quella con Bill Frisell e Vinnie Johnson ed un’estrema abilità nel fondere le suggestioni ed i generi più disparati, di fatto agendo da artista coraggioso e cosmopolita allo stesso tempo.
La selezione quivi proposta indaga sugli anni d’oro del pianista, precisamente quelli intercorsi tra il 1975 ed il 1987 quando Viklicky fondava dapprima gli Energit, titolari di una fusion spirituale che guardava ai gloriosi Return to Forever; poi proseguendo con i SHQ, sulla stessa falsariga della precedente incarnazione musicale di cui sopra. Infine l’incontro con Frisell e Johnson, foriero di certa fusion screziata di funk invero stucchevole ed abbastanza didascalica.
Ciò che resta di interessante e degno di nota all’interno di codesta compilazione è quella creatura musicale denominata semplicemente Emil Viklicky Studio Big Band, un interessante crocevia tra i carnali fremiti disco funk dei favolosi Headhunters di Herbie Hancock e la stellare orchestra di Quincy Jones. Se non fosse per l’inutile riproposizione del sempreverde classico della Bossa Nova “Chega de Saudade” con una trascurabile Eva Svobodova, la cui interpretazione non si avvicina neanche lontanamente alle dolci e carezzevoli note della splendida voce di Astrud Gilberto o per lo sfiancante escursus fusion profumato d’oriente della traccia di chiusura “Rano”, si potrebbe parlare di un disco ottimamente riuscito. Purtroppo non è così, visto che siamo dalle parti della sufficienza piena.
Spiace, soprattutto dalle premesse e dagli artisti coinvolti. Sarà per la prossima volta.
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2. Tà½den (Week)
3. Ješte Jednou Slunce (Once Again Sun)
4. Kveten (Maytime)
5. Kam S Tàm Blues (Chega De Saudade)
6. 70. Và½chodnà (East 70th Street)
7. Boston
8. ZelenའSatèn (Green Satin)
9. Hromovka (Thunderhouse)
10. Zeme Plná Lásky (A Land Full Of Love)
11. Zase Zapomneli Zavràt Okno (They’ve Left The Window Open Again)
12. Siesta
13. Jumbo Jet
14. Ráno (Part 1, Kash Edit) (Morning)