Piove a Bristol. Alzi le tende e l’acqua scivola pennellando un cielo grigio da su a giù e di traverso quel tanto che vuole un vento leggero da nord. A Bristol non piove sempre ma quasi. Ci sono giorni in cui le nuvole si aprono e la luce anch’essa scivola per inerzia sui tetti umidi, le strade schizzano gocce di luce e i Massive Attack accendono il fuoco tra quattro mura riscaldati da frequenze basse che crepitano sul petto al ritmo di una vibrazione sensuale invisibile ma calda e seducente.
7 anni dopo “100th Window” l’unica cosa che e’ corsa via e’ il tempo: il resto e’ rimasto come l’avevano lasciato 3D e Daddy G abbassando il sipario sulle chiacchiere di chi li voleva estinti o, peggio, oramai privi d’ispirazione.
“Heligoland” non e’ “Protection” o “Mezzanine” se al quinto ascolto non c’e’ una traccia che ti si fissi in testa alla stregua di inni notturni come “Karmacoma” o “Inertia Creeps”, se non ti perdi a fissare la musica sul muro e non vedi la trama dei suoni bassi e profondi intersecarsi tra gli spazi immobili dell’inconscio.
Eppure e’ lo stesso tessuto sonoro, la medesima metrica soffusa che pervadeva le precedenti uscite, la solita brillantezza che brucia lenta un sangue elettronico mai così organico e mai così apertamente piegato alle dinamiche trip-hop a cui lo stesso duo britannico ha contribuito a dare vita una manciata di anni fa.
Piove su Bristol e la colonna sonora la scrivono ancora i Massive Attack per mezzo della voce di Tunde Adebimpe (TV On The Radio) mentre le percussioni disegnano spazi esotici dietro l’apparenza di un synth mai invasivo ma discreto e magnetico. Guy Garvey degli Elbow si presta a contesti insolitamente cupi in “Flat Of The Blade” tra girandole sintetiche e giochi di dinamiche e compressioni ad effetto mentre Damon Albarn sigilla una “Saturday Come Slow” stanca e poco ispirata.
Se l’EP “Splitting The Atom” ci aveva regalato l’idea che i bristoliani non avessero cambiato rotta e ci eravamo illusi che “Heligoland” ce li avrebbe restituiti ancorati agli stessi parametri di 10 anni prima, beh, avevamo visto giusto. 3 delle 4 tracce dell’EP uscito qualche mese fa sono qui e il resto e’ scritto usando le stesse formule artistiche del passato. Del resto la musica e’ roba semplice e i Massive sanno benissimo che un basso come quello di “Girl I Love You” deve suonare esattamente come il pubblico si aspetta che suoni, che la voce di Horace Andy e’ oramai un marchio di fabbrica, che la fluida voce di Martina Topley-Bird e’ quanto di più’ simile possa esserci a quella di Elisabeth Fraser (“Teardrop”, ovvio) e che sarebbe dunque folle virare verso lidi meno conosciuti quando si e’ leggende del proprio quartiere.
A voler essere cinici ci sarebbe da dire che “Heligoland” e’ un’involuzione di “100th Window” a cui erano state strappate le radici reggae e soul per spostare il tiro sull’elettronica ed un ambient più puro ma, se così non fosse, verrebbe comunque da chiedersi che senso abbia avuto aspettare 7 anni per fare passi indietro e ripartire da dove il viaggio era iniziato. La risposta e’ vaga e assai confusa tra i meandri di un album godibile ma non eccelso che, sebbene non sfiguri nella discografia degli inglesi, non regge comunque il confronto con la storia della band.
Bristol e’ ancora umida e grigia e la pioggia sui vetri continua a riflettere una città all’ombra di se stessa dove le rive dell’Avon sembrano scivolare anch’esse verso l’oceano ora che la strada ha lo stesso colore dell’acqua e nell’aria c’e’ sempre e comunque quella voglia di qualcosa di caldo e seducente. I Massive Attack potranno forse cambiare il giorno in cui non porteranno più dietro la loro città e cercheranno altri orizzonti. Però a quel punto l’inizio sarà anche la loro fine.
Photo Credit: Brettandelle, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons