Il tempo sembra essersi fermato, per gli Eddy Current Suppression Ring. Il loro orologio biologico si è rotto anni fa, in un imprecisato momento tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni “’80, con tutta probabilità nel corso di un concerto come spalla di gruppi epocali in odore di garage-rock. Television o Velvet Underground, Modern Lovers o Troggs, Jim Carroll Band o Dream Syndicate. E qui mi fermo, perchè l’elenco potrebbe essere sterminato.
Prendete i due brani che aprono il loro ormai penultimo disco, visto che è già pronto il nuovissimo “Rush To Relax”. “Memory Lane” si staglia nervosa e inquieta come una traccia inedita recuperata dalle sessions di “White Light White Heat”, mentre “Sunday’s Coming” ripropone un riff di quelli che abbiamo mandato a memoria, recuperati da una delle mille meraviglie sonore di qualche collezione nuggets, gruppi semi-sconosciuti e per la maggior parte mai baciati dalla gloria, con illustre capofila la band di Reg Presley ad esempio.
Niente di nuovo, allora? Forse è così, e forse può essere visto come un male, per insufficiente capacità innovativa. D’altra parte, stiamo navigando nelle acque agitate, e circoscritte però, di un mare alimentato da un fiume bello grosso, quello dove infiniti gruppi osano cimentarsi proponendo un rock teso e sporco che può essere declinato in infiniti modi. Le coordinate di queste dieci tracce portano lontano parecchio dalla parodia e dalla fantasia di un Jon Spencer Blues Explosion, e della sua successiva creatura, quegli Heavy Trash ancor più caricaturali e citazionisti, come pure dalla stanca riproposizione secondo clichè codificati di gruppi come The Hives o The Vines, dove sembra che l’innovazione stia solo nell’alzare il volume sonoro complessivo. Altrettanto lontano mi sembrano le venature blues dei White Stripes e il pop nervoso ma classico, sommerso sotto decibel di noise dei mille epigoni dei Jesus & Mary Chain.
Partiti quasi per gioco, con un mini-concerto che doveva servire solo per animare una serata di musica e balli ad una festa natalizia per l’etichetta discografica dove lavoravano nell’anno 2003, i quattro si sono ritrovati subito a dover fare i conti con ottime recensioni e grandi incoraggiamenti, spronati a continuare su quella china, passando così per un primo disco che altro non era che una raccolta di singoli ed EP vari, primi vagiti sonori, e arrivando nel 2009 al secondo passo, questo “Primary Colours”, di cui sto cercando di tesservi le lodi, svelandovene le evidenti qualità che me ne hanno fatto innamorare.
La loro musica risulta diretta, nervosa e opportuna. Le canzoni partono senza troppi fronzoli, proseguono senza svisate ed eccessi, nessuna nota fuori posto o assoli inutili e pedanti. Anche le cavalcate lunghe e lisergiche di alcuni brani centrali, come quel “Colour Television” che fin dal titolo sappiamo dove andrà a parare, si allungano con attenzione e devozione per i modelli citati. Nessun coro anni “’90, nessun suono digitale o campionato,solo una strumentazione vintage classica di una rock band, chitarre elettriche, basso e batteria, con l’aggiunta di uno stupendo organo che in “We’ll Be Turned On” si concede meraviglie degne di un Chris Cacavas in gran forma. Il cantato richiama la nevrosi urbana degli anni “’70, dove era lecito camminare unicamente sul lato selvaggio della strada, accompagnati da qualche venere in pelliccia. Le citazioni sono evidenti, assimilate e introiettate, per dipingere sogni asciutti di ragazzi cattolici che si aggirano tra gente che muore, in una città che gocciola nella notte.
Sembra lecito chiedersi se tutto questo retaggio sia solo formale, lontano dal vissuto dei gruppi dai quali questi suoni prendono le mosse. Probabile che sia così, le facce dei quattro bravi ragazzi testimoniano solo un amore sviscerato per questi ritmi, slegati dalle paranoie e dai tormenti che ai tempi accompagnarono i loro autori. Nonostante questo, però, la sincera passione resta evidente. è fondamentale non fermarsi al primo ascolto, schiacciare ben bene il tasto di repeat per cogliere tutte le sfumature e i dettagli, e poi aspettare l’occasione d’oro per tirare fuori questo piccolo gioiello, il disco giusto per una festa garage-rock con atmosfere da revival anni ’70…il divertimento è garantito. Certo, se li infilate tra una “Lady Godiva’s Operation” e una “Marquee Moon” o tra una “I Write Your Names” e una “Wild Thing”, chi potrebbe accorgersi del plagio?
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2. Sunday’s Coming
3. Wrapped Up
4. Colour Television
5. That’s Inside of Me
6. I Admit My Faults
7. Which Way to Go
8. You Let Me Be Honest With You
9. We’ll Be Turned On
10. I Don’t Wanna Play No More