Golden Triangle
Double Jointer

Indovinate da dove vengono i Golden Triangle? Da Brooklyn.
Una volta Brooklyn era un posto molto sfigato dove abitare. Adesso è una specie di laboratorio a cielo aperto per hipster con velleità  artistiche che indossano camicie a scacchi, calzamaglie fosforescenti e baffi da mariachi. La musica di Brooklyn del decennio appena concluso ha proposto cose degne di citazione e che conosciamo tutti (Tv on the Radio, Yeah Yeah Yeas, Liars, Mgmt, boh, forse pure gli Yeasayer), ma ha fatto presto a diventare anche un clichè: pitchforkiana nel senso peggiore del termine, incesti di chitarre e sintetizzatori come se fosse prescritto, il confine spesso indistinguibile tra atteggiamento e valore.

Detto questo, i Golden Triangle vanno inseriti a pieno titolo nel limbo dei “‘non abbastanza da”…’.
Ho l’impressione che se avessi ascoltato “Double Jointer” dal vivo ne sarei uscita gasatissima, improvvisamente innamorata- di nuovo- del garage e del lo-fi. Poi, gradualmente, l’ebbrezza sarebbe svanita, l’energia dissipata e mi sarei ritrovata con un cd assolutamente poco fisico in mano.
Che, intendiamoci, non è per niente spiacevole, ma neanche rivoluzionario.

A complicare le cose, “Double Jointer” è fondamentalmente un album senza singoli. Lo salvano da un anonimato altrimenti inevitabile solo il controcanto di voci femminili, in vago odore di riottismo Nineties, e le fracassanti sequenze di batteria. Ci sono poi tentativi mistici di flirtare con suoni più complessi, come in “Neon Noose” , ma ripeto, “‘non sono abbastanza da’.

In definitiva, i Golden Triangle potevano venire anche da Honolulu e la cosa non avrebbe fatto la differenza.
Il dna hipster non è una buona causa e non aumenta il prestigio dell’operazione. Resto convinta che questo giudizio si rovescerebbe in modo consistente dopo un concerto della band in questione, ma dubito che la cosa accadrà  a breve. Nel caso, dicono che facciano cover divertenti dei Cramps. Nel frattempo, ascoltare senza aspettative.

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