Ripercorrendo il percorso musicale di Rufus Wainwright, a questo giro era lecito aspettarsi un carrozzone ancora più ricco di particolari, colori sgargianti, alambicchi e barocchismi estremi. Personalmente ero portato a pensare che, ascoltandolo, si sarebbero materializzati i fuochi d’artificio nella mia stanza. Invece il nuovo disco è in assoluto quello più essenziale: solo voce e pianoforte. Una bella sfida che poteva essere vinta a mani basse dal Nostro, ma così non è. Sgomberiamo il campo dagli indugi, chiarendo che siamo al cospetto di un bel disco, denso a dispetto della forma, grazie ad una voce che riesce a farsi carico dei vuoti strutturali, riempiendo gli spazi con una massiccia dose di pathos. Anche gli intenti intellettuali sono ambiziosi, con il richiamo ai sonetti di Shakespere (ne sono presenti 3 in scaletta, il 43, il 20 e il 10) e il riferimento ad un episodio drammaticamente triste nella vita di Rufus: la perdita della madre.

Nonostante questo, una certa ripetitività  di fondo ed una modulazione tanto intensa quanto poco incline alla varietà , rendono i quarantotto minuti del disco difficilmente digeribili tutti d’un fiato. Certo, i seguaci più integralisti del Nostro, saranno ben disposti a spendere le proprie giornte tuffandosi in queste atmosfere classiche ed eleganti, solenni e delicate allo stesso tempo gli altri, pur apprezzando, potrebbero avere qualche difficoltà  ad arrivare in fondo al percorso. Ci vuole classe per concepire un disco così e lui ne ha a sufficienza; probabilmente gli gioverebbe un dosaggio più oculato della propria arte. Rufus Wainwright è fatto così, un artista a suo modo assoluto, prendere o lasciare. Noi prendiamo con parsimonia per non appesantirci troppo le tasche.

Credit Foto: Rufus Wainwright at Met Opera.jpg: Rubensteinderivative work: Tabercil / CC BY