Sempre degni di stima per la loro onestà musicale, i The Radio Dept. hanno sempre presentato al pubblico lavori compatti ed organici nel loro messaggio concettuale. Il post-rock aperto al nostalgico è notevole dal momento che si citano gli Smiths (ovviamente rielaborati), fino ad arrivare ad un eco dei Pumpkins.
“Domestic Scene” è questo, senza i pomposi synth che hanno spesso infuso consistenza alla musica dei Dept.
Poi c’è un colpo di scena subito, perchè “Heaven’s On Fire” è puro Ace Of Base, e con i ’90 si continua con “This Time Around”. Fantastico è il modo in cui riprendono un sound difficile da rievocare nelle sue sfumature.
“Never Follow Suit” è l’incontro tra Trip-Hop e i Take That. Li sto amando.
“A Token of Gratitude” mi da la prova che tutto ciò proviene dal passato, e se lo hanno fatto di proposito sono riusciti perfettamente nel loro intento.
A metà album c’è il mio pezzo preferito: “The Video Dept.”, l’autobiografia, forse, di cosa è rimasto in loro degli anni che sono andati dalla decapitazione del noise alla coniazione del post-grunge. Io ci sento dentro fremere gli zombie dei My Bloody Valentine.
Nella migliore tradizione del post, i Mogwai si fanno sentire in “Memory Loss”, a dispetto di tutte le eresie “velocizzate” e iperstrumentali overmixate dell’attuale tempo, con a capo i 65daysofstatic.
“David” mi piace immaginare che sia il loro singolo di debutto, facciamo più o meno nel ’95, che li ha fatti diventare milionari. Ovviamente la realtà è molto meno idilliaca.
Poi c’è questa, direi, esaltante, “Four Months in the Shade”, che fa riflettere su quanto ci sia di vecchio in quello che adesso fanno i The XX, oppure i più avanguardisti Fuck Buttons. Comunque sia un trascinato ritmico e rumoroso giusto per una giornata rifugiati in camera davanti ad un internet 1.0.
Colpa loro se piango sentendo “You Stopper Making Sense”, perchè c’è tutta la melodia di quando crescevo, e alla tivù c’erano tutti quelli che adesso sono morti e stanno sotto terra, oppure sono morti e stanno facendo reality.