Fossi un patriottico inglese emigrato suo malgrado in un paese straniero, per sentirmi più vicino a casa in questo momento, scongelerei un fish and chips di quelli preconfezionati, mi stapperei una lattina di Bass e metterei nello stereo il disco egli Erland And The Carnival. Ok, il fish and chips surgelato non è la stessa cosa, la birra in lattina idem, e come disco si potrebbe scegliere tra almeno un centinaio di alternative più accreditate e meritevoli. Eppure il disco, nella sua modestia, funziona.
A partire dal background dei componenti del gruppo, il cantante folk scozzese Erland Cooper, l’ex chitarrista di Verve e The Good The Bad and The Queen Simon Tong e il batterista dei The Fireman, progetto ‘sperimentale’ di Sir Paul Mc Cartney, si intuisce subito che tutto il lavoro ha le credenziali giuste per avere un forte legame con la terra della regina Elisabetta. Le tradizioni prima di tutto, e tutto questo senza usare nemmeno una volta l’ inflazionatissimo riferimento ad “Albione”, tanto caro ad altri. L’entrata in kilt di “Love is a Killing Thing” è una presentazione quantomai adeguata. Il ‘riprendere’ un brano tradizionale, come questa ballata scozzese, e ridipingerlo di psichedelia e distorsione incalzante sono una dichiarazione di intenti chiara e spiazzante al tempo stesso.In questo album i generi si mischiano e si contaminano con frequenza passando attraverso il tempo, lontano e recente, con disinvoltura e naturalezza.
Il pezzo che segue, e che dà anche il nome alla band, è “My Name is Carnival”, un brano di Jackson C. Frank, che ricorda il folk di Scott Walker contaminato dal garage dei ’60, altro elemento chiave nel gioco di rimandi dei EATC. Prossimo brano, prossimo fondamento. Il beat di “You Don’t Have to Be Lonely” che è una cavalcata Western piuttosto tirata, di quelle che hanno riportato alla luce solo qualche anno fa i Last Shadow Puppet. Un’attitudine Morriconiana si ripresenta in “The Derby Ram” dove le liriche sono ispirate da un fatto di cronaca recente, quando un ragazzo si suicidò gettandosi da un palazzo, esortato dalla gente che lo riprendeva con il telefonino. In ogni pezzo ci sarebbe da citare uno stile, un genere, un epoca diversa, e “Disturbed This Morning” per esempio, ne contiene un buon numero. Parte con un giro molto simile ai The Good the Bad and The Queen, poi entrano le trombe abusate dai Blur in “Modern Life is Rubbish” (n.b.il disco è stato registrato negli studi 13, di proprietà di Damon Albarn) tutto magistralmente accompagnato da synth ‘spaziali’ in sottofondo, fino a scioglliersi in un lago di noise, una piccola perla.
“The Sweeter The Girl The Hard I Fall” deve qualcosa ai Doors, per quell’organetto che sostiene i cori che accompagnano la voce di Erland. Infine “Gentle Gwen” riesce a passare attraverso un intro con il ritmo dei Coral ad un’altro galoppo western, fino ai Synth alla Muse e sfociare nei Kinks di “All Day and All of the Night”. Mentre le 13 tracce del disco si chiudono con con un elettronica ballata acida che trae ispirazione dai testi visionari di William Blake, “The Ecoing Green”, rimango a pensare alla classe di questo gruppo. Di cui vorrei far parte, alle lezioni di storia della musica inglese che tengono a Cambridge. Insomma, non sarà nulla di innovativo e speciale, ma è il miglior riassunto, fedele e ispirato, che si possa trovare in questo 2010.
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2. My Name Is Carnival
3. You Don’t Have To Be Lonely
4. Trouble In Mind
5. Tramps And Hawkers
6. Derby Ram, The
7. Disturbed This Morning
8. Was You Ever See
9. Sweeter The Girl The Harder I Fall, The
10. Everything Came Too Easy
11. One Morning Fair
12. Gentle Gwen
13. The Echoing Green