La musica dei Real Estate è racchiusa in un piccolo universo sonoro, come quelli ricostruiti in una piccola sfera di vetro, un semplice gioco da scuotere e rovesciare infinite volte. Gli elementi che lo compongono, e lì custoditi, non cambiano mai, ma ad ogni scossa qualcosa si muove e i piccoli pezzi si depositano in maniera differente. L’equilibrio complessivo, inattaccabile status quo artificiale, se guardato da vicino e con attenzione, rivela ogni volta piccoli scarti e nuove microscopiche prospettive. Un brano vive di armonie immediate e solari, mentre quello successivo, con qualche piccolo cambiamento, scivola lateralmente, screziando di una nota psichedelica l’atmosfera bucolica creata in precedenza. E alla fine gli elementi sonori restano sempre i medesimi, “visibili” al primo impatto auditivo.
All’unica data italiana per il tour di promozione dell’album di debutto, uscito omonimo l’anno scorso e affiancato in fretta da svariati ep, i quattro ragazzi di Brooklyn si presentano alla Casa 139 di Milano abbastanza sconvolti, affamati e all’ultimo minuto. Salgono sul palco direttamente per attaccare gli strumenti, collegare tutti i loro cavi e partire immediatamente con la loro magica tessitura sonora, appena terminata l’esibizione dei bolognese A Classic Education.
Il quintetto italiano, convincente ma ancora perfettibile , dimostra il proprio amore sviscerato per il guitar-pop d’albione, segnato a volte da una lieve psichedelia, presentando in una mezz’ora di musica pezzi vecchi e nuovi, che rivelano le maggiori capacità nella costruzione di bei fraseggi chitarristici e nei ritmi scanditi da basso e batteria. La vera pecca, nonostante qualche problema tecnico che fa purtroppo scomparire tastiere e seconda voce ed un cantante che potrebbe decisamente crescere di capacità e presenza, resta la lingua, con testi ancora nascosti dietro un inglese ormai non più obbligatorio per un bravo gruppo italiano che cerca giustamente di farsi conoscere anche all’estero.
Giusto il tempo di collegare le chitarre e il basso, far sedere il batterista e il concerto dei Real Estate ha inizio. La loro breve esibizione, racchiusa in un’ora scarsa di musica, è sufficiente a render ragione delle lodi che il disco ha ricevuto un po’ dappertutto, scomodando anche paragoni ingombranti e tutti da verificare. Soprattutto dal vivo, visto i richiami a Feelies e Yo La Tengo, gruppi che in questa dimensione live danno sicuramente il massimo.
Con tutte le differenze di magnitudine artistica, sul palco i piccoli nerds, o almeno tali appaiono, neo-diplomati in qualche college americano e decisamente più vicini ai bravi ragazzi della confraternita Omega che non ai depravati della Delta, si difendono molto bene. Le canzoni incantano immediatamente nella loro semplicità , senza richiedere trovate tecniche particolari e slanci di estremi virtuosismi. Anche senza sound-check, il suono sembra perfetto, l’equilibrio tra gli strumenti ricalca quella perfetta atmosfera compiuta e definitiva che il disco trasmette. I brani dell’album sono ovviamente al centro della scaletta, e gli entusiasmi del pubblico accolgono gli attacchi dei pezzi più apprezzati, come le immediate Atlantic City, con lo spirito di Duane Eddy che si aggira tra il pubblico e ghigna beato, e “Fake Blues”, piccolo gioiello pop di surf-folk. Ma convincono anche i pezzi più rarefatti e lisergici, come la sognante “Pool Swimmers”, stupendamentemente in linea coi migliori Yo La Tengo, o la struggente “Blake Lake”, visionaria e inquieta.
Giovani ma capaci, ventenni ma non alle prime armi, considerato che alle loro spalle troviamo gruppi già conosciuti, quali i bravissimi Titus Andronicus, o gli oscuri Ducktails, nomi di tutto rispetto nel panorama indie odierno.
La musica di oggi vive anche di serate come questa, belle e decisamente godibili anche se non votate all’eccesso ed alla triade sesso, droga e rock’n’roll. Tutta questione forse di differenti ‘incentivi’, nessuna assefuazione ma solo tanta tanta voglia di ripetere la medesima bellissima esperienza…sonora.
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Photo Credit: Tore Sà…tre, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons