Il fascino di un lavoro a volte risiede anche nella contestualizzazione che si può fare dell’opera, all’interno della carriera dell’artista (o in questo caso di più “‘belle’ teste pensanti messe insieme). E a volte i lavori che fungono da ponte tra un’era musicale e l’altra, nascondono tanto di quel fuoco, di quella voglia di progredire che anche la metà potrebbe bastare.
Partiamo dal principio: questo è un disco dei CCCP o dei CSI? La domanda sorge spontanea, visto che il nucleo che l’ha composto, suonato e registrato nella villa Pirandini di Rio Saliceto (Appennino reggiano) è praticamente quello del futuro Consorzio Suonatori Indipendenti, ma “Epica Etica Etnica Pathos” uscì comunque a nome CCCP. Facile pensare che il cammino dei CCCP ancora non era arrivato ad una meta finale, all’Unione Sovietica e al comunismo mancava ancora un anno di vita e vista la simbiosi tra il fiore all’occhiello del rock italiano e il secondo ex-blocco mondiale, la fine dei CCCP non poteva che combaciare con il crollo del regime sovietico.
Ma musicalmente siamo già lanciati verso altri lidi. Poco o nulla di quello contenuto in queste 17 (o quindici se si vuol considerare “Narko’$/Baby Blue” come un unico pezzo) rimanda ai grezzi suoni del principio dei CCCP e di certo le evoluzioni, già presenti nei dischi successivi ad “Affinità Divergenze”…”, non potevano far presagire un (quasi) testamento come questo. Entrano in formazione Gianni Maroccolo e Ringo De Palma (ex Litfiba), Francesco Magnelli e Giorgio Canali, a far compagnia ai ‘veterani’ Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni, la ‘benemerita soubrette’ Annarella Giudici e l”artista del popolo’ Danilo Fatur.
Un disco registrato in diretta che si apre con Aghia Sophia, un calderone sonoro dall’indimenticabile ritornello sul tedio domenicale che consuma droga e amori. 9 minuti e mezzo tra citazioni di Sofia Loren e spaccati di vita italiana fine anni ’80. Tra rock e avanguardia, che ci conducono a “Paxo De Jerusalem”, dalla melodia non trascurabile, che abbinata alle reminiscenze medio-orientali che trasudano dal testo suscita nell’ascoltatore un qualcosa che certamente non si è sentito sin dai tempi degli Area di “Arbeit Macht Frei”. Il riff ossessivo di chitarra e basso ad accompagnare il salmodiare di Ferretti è l’ossatura di “Narko’$”, pezzo diviso in due parti all’interno delle quali c’è l’inusuale (per i CCCP) “Baby Blue”, cantata in un inglese a tratti approssimativo da Danilo Fatur. Campestre anticipa la mistica passione bucolica che in seguito colpirà Ferretti, in parte nei C.S.I e nei P.G.R., appieno nelle sue avventure soliste. E arriva prima di uno dei pezzi simbolo di “Epica Etica Etnica Pathos”: “Depressione Caspica”. La musica dipinge a pennello il titolo: un ritmo lentissimo a sorreggere note accennate di chitarra, suoni di tastiera, quasi d’interferenza nel finale, e il tono ancora più basso del solito di Giovanni Lindo. I CCCP hanno sempre avuto una certa attrazione per la musica popolare, in particolare per quella emiliana. Ma nel loro ultimo disco vanno ad omaggiare un tradizionale calabro, accennato alla fisarmonica (“In Occasione Della Festa”). “Amandoti” ci fa ritrovare Ferretti in veste di ‘simil crooner da balera’, se si permette una definizione simile: una canzone d’amore, sofferta, voce e tastiere. Roba inimmaginabile solo qualche anno prima.
“L’Andazzo Generale” è una frecciata al microcosmo italiano (Cosa Nostra Causa Nostra), forse non un pezzo che spicca nella discografia dei nostri ma decisamente con un suo perchè se si pensa a quanto sia attuale anche per i giorni nostri. “Al Ayam” solca il Mediterraneo e ci porta nel mondo arabo, mai stato così presente in un disco dei CCCP, visto che è un testo in lingua originale araba suonato con strumenti tipici del Maghreb. Dopo i 5 secondi contati di “Appunti Di Un Viaggiatore Nella Terra Del Socialismo Reale”, arriva il gran finale.
“Mozzill’o Re” e “Maciste Contro Tutti” sono collegati dal frammento di Campestre (parte II) e compongono una suite rock di 15 minuti che già qui su disco rende tantissimo, ma diventa uno dei punti più alti dei CCCP/CSI nel live giustappunto intitolato “Maciste Contro Tutti” (con Ustmamò e Disciplinatha). A concludere uno dei gioielli della musica italiana, Annarella: una soffice ballata, semplice ma efficace, come il suo testo.
Un peccato mortale non avere questo disco in casa, il primo di una lunga serie di capolavori che la scena alternativa italiana ha saputo regalare nei “‘nostri’ anni ’90.
Photo Credit: Michele Lapini