Se si usa un traduttore automatico qualsiasi, inserendo la parola “Further” viene tradotto con “‘Ulteriore’.
Forse l’idea originale del duo techno di Manchester era di dare un titolo che indicasse una sorta di prosecuzione di un cammino già intrapreso e non semplicemente di un altro disco.
Ho ascoltato le tracce del disco con attenzione e senza alcuna influenza esterna tipo altre recensioni o commenti di amici. Volevo dare un giudizio quasi distaccato dell’album di uno dei miei autori preferiti.
L’intro (“Snow”) è quasi da disco che non va, con un noise iniziale che ti fa guardare se hai collegato bene le casse dell’impianto. Poi parte “Escape Velocity” che sembra destinato ad essere un classico dance senza dimensione temporale.
Poi “Another World” con quelle voci femminili (Stephanie Dosen) che sembrano lamenti di sirene incagliate nel mare e che ci riporta indietro fino agli esordi del duo, quel devastante “Exit Planet Dust” di quindici anni fa, con “Song To The Sirens”.
Quindi l’album ha un’ascesa di personalità con la deframmentata “Dissolve” che nasce da un intro tipo “Where The Streets Have No Name” e si trasforma in un classico ritmo scomposto a-la Chemical Beats intriso di Kraftwerk.
“Horse Power” è una sorta di autocitazione di “Music: Response”, da “Surrender” del 1998: un riff di tastiere rende in nuovo brano una trasposizione temporale della traccia originaria.
La citazione più emozionante la troviamo nel singolo “Swoon” che impazza in tutte le radio con la sua leggerezza e facilità di memorizzazione del motivetto, disteso su una bella scomposizione ritmica, tipica di Ed e Tom. Le radici del brano sono ben più profonde, risalgono agli Orbital dell’epoca “Brown Album” (1993) che con “Lush 3-1” e “Lush 3-2” svecchiarono Jean Michel Jarre di 20 anni. I due brani, se mixati insieme, sembrano gemelli eterozigoti.
Poi il disco si chiude con la ballabilissima “K+D+B” ben intessuta di voci femminili e la conclusiva “Wonders Of The Deep” che sembra un remix di qualcosa degli Editors, interpretato dai Kraftwerk.
Non si butta nemmeno la bonus track di iTunes, “Don’t Think”.
Posando la lente di ingrandimento si scopre di aver ascoltato un’opera che segna la fine di un’epoca per poter, forse, guardare al futuro dal prossimo disco. Una sorta di “The Best Of” reinventando i brani, cosa che mi sembra molto più nobile come intento. Senza guest stars cui pagare tributo, Tom Rowlands ed Ed Simons reinterpretano la loro carriera e la musica cui si ispirano in un album senza scopo di lucro, come testimonia il minutaggio poco radiofonico dei brani.
Non sarà il disco dell’anno ma, ragazzi, CHAPEAU!