Alice e Mattia, due coetanei le cui esperienze tragiche vissute nell’infanzia producono un trauma che non li abbandonerà mai, influenzando in modo pesante e permanente le loro vite. Potrebbero amarsi, si sfiorano e si separano. Non consentono a se stessi di ritrovarsi ed insieme concedersi ciò che si sono sempre vietati ed inflitti. Come due numeri primi sono divisibili solo per uno o per se stessi e quindi destinati alla solitudine.
Saverio Costanzo (“Private”, “In Memoria Di Me”) porta in concorso a Venezia l’attesa trasposizione cinematografica del celebre romanzo d’esordio di Paolo Giordano (che partecipa alla sceneggiatura) – caso letterario del 2008 con più di un milione di copie vendute, nonchè premio Strega e Campiello – ma sin da subito se ne discosta dalle atmosfere e nella materia portante, destrutturandolo a partire dalla linearità narrativa che si alterna con continui salti temporali incentrati su tre periodi fondamentali delle vite grevi di Alice e Mattia.
La cifra stilistica adottata da Costanzo è netta e coraggiosa, una vicenda sentimentale tinteggiata di horror che s’innesta sin dalle prime battute – evidenziata da una colonna sonora curata da Mike Patton e sottolineata con una grafica ridondante – che sembra alludere a certe tensioni tipiche dei film di Dario Argento. Lo sguardo del regista si concentra sui corpi, deturpati e feriti, che mutano e e si plasmano in base al loro dolore, assurgendoli a veri protagonisti della vicenda, interpretati da una stupefacente Alba Rohrwacher e la sorpresa Luca Marinelli che imprimono sui loro corpi le fatiche di esigenze di copione estreme, donando veridicità assoluta ai loro personaggi.
Appare inevitabile che un autore così caparbio, con uno stile aspro e antinaturalistico che bandisce ogni sfumatura renda la pellicola estrema, cozzando con la materia scottante della popolarità del romanzo e ne risulti indebolita. Dall’altro canto le soluzioni adottate dal regista romano risultano affascinanti e farcite con dosi massicce di pathos e suspance che imprimono alla pellicola un sapore evocativo barocco e attraente, ma tutto rimane soffocato e imprigionato nella ricerca autoriale ed originale quasi ossessiva, finendo per implodere in se stesso.
Data la sua scelta di campo perentoria e precisa che deve far i conti con il peso specifico di una vicenda letteraria tanto amata, il film è destinato a dividere. L’abilità registica di Costanzo è palpabile e non ne esce intaccata, con angolazioni atipiche su tonalità cupe, impreziosite da stacchi netti e commenti sonori magistrali, ma viene sommersa dalla complessità psicologica del romanzo e dalla sua carica emotiva che si disperde lungo il racconto cinematografico discostandosene inesorabilmente.