LINE UP ““ 12/08/2010:
ANNEDALSKYRKAN: STEGET, VILLAGERS, TALLEST MAN ON EARTH
JAZZHUSET: ANNA IHLIS, IKON, THE EARLY DAYS, ALMEDAL
Rà–DA STEN: IRK + TRICKYKID, RAS G & THE AFRIKAN SPACE PROGRAM, QUEST, SILKIE
PARK LANE: JUNIP, CARIBOU
STICKY FINGERS: HARLEM, SLEEPY SUN
HENRIKSBERG: GRAVEYARD
PUSTERVIK: RAMBLING NICHOLAS HERON, SLOW CLUB, THE LOW ANTHEM
Và„RLDSKULTURMUSà‰ET: NETTLE, TINIE TEMPAH, JJ
PARKEN: FIELD MUSIC, BEAR IN HEAVEN
HENRIKSBERG: DIVISION OF LAURA LEE
PORT DU SOLEIL: FELIX DA HOUSECAT, LAIDBACK LUKE

INTRO
Raggiungere Goteborg da Roma non è impresa facile. Si impiega meno ad atterrare all’aereporto JFK di New York che intravedere dal finestrino dell’aereo le coste frastagliate della Svezia.
Sveglia all’alba, 45 minuti scarsi per raggiungere Bergamo, un’intera mattinata di attesa buttati sul pavimento di un’ area internet chiamata tale solo per la presenza di un unico frigorifero a gettoni collegato al web (free wireless che ???), e poi ancora 2 ore per arrivare a destinazione. Per il secondo anno consecutivo ci sobbarchiamo tutto questo travaglio, andata e ritorno, solo ed unicamente per il Way Out West, e ancora una volta il responso è unanime: ne è valsa assolutamente la pena.

Compagno di questa nuova trasferta musicale non è, almeno per quest’anno il sempre presente Helmut bensì Emanuele/Olmert, eterno “‘peter pan musicale’ e rinomato radical chic di Rione Monti. La caccia alla nuova sensazione indie-rock-folk-pop e il tentativo di sfidare gli svedesi sul terreno dello stile e delle velleità  artistiche le ragioni che lo spingono ad aggregarsi alla trasferta nord europea.

Prima di entrare nel vivo del racconto doverose un paio di precisazioni.
La line-up del 2010, in particolare quella dello Stay Out West, parentesi indoor del festival, si presenta ridimensionata rispetto all’anno passato. Poco importa però, nel cartellone contiamo comunque una ventina di nomi per i quali vale la pena presenziare in terra scandinava e questo ci basta. D’altronde continuo a pensare che mega-festival stile Glastonbury con più di 30 palchi e cinquanta / sessanta buone band al giorno siano un tour de force difficilmente sostenibile per un qualsiasi trentenne (almeno per il sottoscritto e quelli che lo circondano”…). Meglio allora muoversi il meno possibile da un palco all’altro, godersi l’intera esibizione di poche ma ottime band.
Altra cosa che notiamo line-up alla mano è la presenza di tanti artisti di casa, a partire da uno sconosciuto, a quanto pare solo da noi, Hakan Hellstrom autentico headliner (solo M.I.A. ha il nome grande come il suo nel cartellone) fino a ben più noti Jens Lekman, Radio Dept, Miike Snow, Shout Out Louds e molti altri. Chiaro l’intento da parte degli organizzatori di creare un evento più “‘vicino’ ai tantissmi svedesi presenti, come sempre circa il 90% dell’intero pubblico dell’evento. Anche questo non dispiace perchè come giustamente fa notare il sempre attento Olmert sono anni che la scena musicale svedese risulta essere di gran lunga migliore anche di quella inglese tanto hype e niente arrosto. Insomma ben vengano queste prese di posizione nazionaliste se a guadagnarci è solo l’ottima musica.

Atterrati nel tardo pomeriggio abbiamo giusto il tempo di lasciare i nostri bagagli in ostello per poi tornare in strada, il nostro amico Magnus, come sempre massimo esempio di garbo e disponibilità  scandinava, ha organizzato un’intervista con i Villagers. La band irlandese suonerà  da lì a poco nel suggestivo scenario dell’Annedal e questo è perfettamente in linea con i nostri programmi per la serata. Avevamo infatti deciso di sacrificare Caribou di scena in uno dei tanti club cittadini, e goderci Villagers + The Tallest Man On Earth nella suggestiva location della chiesa per nulla sconsacrata.

Altra divagazione d’obbligo lo merita il capitolo alloggio. Scordatevi a Goteborg di trovare posti a due lire, qui, indipendentemente dalle stelle e dalla posizione, a meno di 35/40 euro c’è solo la panchina della stazione centrale. Non potendo usufruire della mega svolta dell’anno scorso, un 4 stelle centralissimo a sole (si fa per dire) 40 euro a testa a notte, abbiamo ripiegato sul tipico ostello nord europeo, non certo economico ma assolutamente accogliente e pulito. Ottima anche la posizione, 10 minuti a piedi da Kungsportsavenyen, vialone principale di Goteborg dal quale raggiungere agevolmente gran parte dei locali previsti per questa edizione del WOW.

WAY OUT WEST ““ DAY ONE
Terminata l’intervista con Conor J. O’Brien aka The Villlagers, tra l’altro come giustamente fa notare Pitchfork sosia spiccicato tanto di Conor Oberst (Bright Eyes) quanto di Tracey Thorn (Everything But The Girl), troviamo il tempo di prendere un caffè, leggasi acqua sporca, con Frida, addetto stampa WOW, conoscenza che da lì a poco si rivelerà  fondamentale.

Inizia a piovere e nonostante abbiamo a disposizione un’ora scarsa prima dell’inizio del live, decidiamo di riprendere il tram e tornare in zona ristorante. La rilassatezza prende il sopravvento. Un succulento pasto a base di tapas (chiaro no? Uno arriva fino in Svezia e cena con tapas”… ) mille chiacchiere, qualche birra e infine solo pochi minuti per tornare all’Annedal per l’inizio del live. A questo punto assistiamo ad un evento più unico che raro per qualsiasi società  di trasporto operante in una qualsiasi località  al di sopra delle Alpi. Il tram numero 16 direzione Kortedala (quella delle Nights Fall Over”…) registra un ritardo di circa 20 minuti!!! La pioggia cresce di intensità , di taxi nemmeno l’ombra, non ci rimane che attendere ed imprecare sotto una pensilina sempre più stracolma di placidi svedesi.
Tornati alla chiesa l’immagine che ci si presenta è a dir poco sconfortante. Una fila interminabile di giovanissimi per nulla sconvolti (in molti ovviamente sono senza ombrello) dal grande acquazzone che sta lavando Goteborg. Quasi subito optiamo per il tentativo la va o la spacca. In pieno stile “‘italiano faccia da culo’ ci presentiamo all’entrata di sicurezza riservata ad artisti e crew dove una raggiante Frida al saluto hey italian journalists!!! ci spalanca magicamente le porte. Siamo dentro in tempi record, i Villagers stanno eseguendo la seconda canzone in scaletta.

Presentantosi in punta di piedi come uno dei tanti menestrelli folk spuntati come funghi sulla scia di Sufjan Stevens e Andrew Bird, a Conor J O’Brien è bastato piazzare un ottimo debutto come “Becoming A Jackal” per lasciare intravedere molto di più di uno spiccato senso melodico e un profondo spirito di emulazione. Il live al quale assistiamo conferma la sensazione di trovarci al cospetto di un talentuoso cantautore, capace di realizzare piccoli gioelli folk-pop assai godibili anche in veste live. “Shipping Of Promises”, “Becoming A Jackal”, “Meaning Of The Ritual”, saltelliamo con piacere tra eleganti parentesi acustiche e singoli dal forte sapore british pop, insomma Neil Hannon e Paddy MacAloon sono ancora lontani anni luce, ma chissà  forse un giorno”….

Fuori i Villagers dentro The Tallest Man On Earth e immediatamente l’atmosfera cambia. La chiesa viene letteralmente presa d’assalto da un’orda di teenagers fino a quel momento lasciati a mollo sotto una pioggia incessante. A fatica prendiamo posto per terra sotto il palco, alla nostra sinistra ragazzine in lacrime alla mia destra un sedicenne che mi confessa essere venuto a Goteborg da un’isolotto dal nome incomprensibile solo per “‘l’uomo più alto della terra’. La domanda a questo punto sorge spontanea: siamo ancora al WOW oppure sta per avere inizio una puntata di TRL ?
Kristian Matsson dal canto suo sa esattamente come mandare in visibilio i suoi “‘piccoli’ fans. In solitario, armato di chitarra, mette in piedi un set acustico dove a tener banco, oltre ovviamente al suo folk country in salsa unplugged, troviamo mille pose alla “‘Johnny Cash wannabe’. Non ha pace, si siede, si alza, batte il tempo a colpi di stivale, ora fissa come folgorato un punto indefinito sul soffitto, ora come provato da chissà  quali pene d’amore volge lo sguardo sofferente verso la folta platea. E’ un gran piacione il nostro e questo, a giudicare dall’attesa e dalla partecipazione della chiesa intera, contribuisce non poco alla sua notorietà  da queste parti.

Il set è comunque piacevole, scivola via con qualche picco di rilievo, “King Of Spain” su tutte, e si chiude giusto in tempo per evitare l’affacciarsi del primo sbadiglio. Prima dei saluti non può però mancare l’ultimo colpo teatrale. Per l’ultima canzone in scaletta lo raggiunge sul palco tale Idiot Wind, sconosciuta artista svedese, fino a quel momento mimetizzata tra il pubblico. Vi lascio solo immaginare allora come anche in questo caso la platea si sciolga in ampi cenni d’approvazione quando i due, nemmeno fossero folli amanti tenuti lontani da anni, si abbandonano in un duetto stracolmo di sguardi languidi, visi che si sfiorano, labbra che quasi si toccano. Ora che il nostro Johnny Cash ha trovato la sua June Carter, è proprio giunto il momento di far calare il sipario, si spengono le luci sull’altare della sempre affascinante Annedalskyrkan e sul nostro primo assaggio di Way Out West 2010. Da domani si entra nel vivo, acquazzoni e fango permettendo”….

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