Alla fine, dopo tanta ricerca di suoni nuovi e moderni, mi ritrovo ad innamorarmi ancora una volta di un disco e di una musica che si nutrono direttamente alla fonte, ai suoni ed alle suggestioni dei primi bagliori della musica rock. Timber Timbre, album omonimo e terzo sulla carta, ma di fatto il primo ufficiale e degnamente distribuito dopo due lavori autoprodotti, di un gruppo impersonificato in realtà dalla figura di Taylor Kirk, autore di testi e musiche, canadese di Toronto alla nascita, ma americano di qualche stato tra la Louisiana e Alabama nello spirito.
Vedetelo come se le suggestioni musicali di Micah P. Hinson trovassero degna interpretazione nel lirismo vocale di Antony Hagerty, spogliandolo degli eccessi e della maniera che a volte lo sovrastano. Come se lo spirito più ruspante e scarno del primo Elvis trovasse un nuovo corpo da possedere, mentre si aggirava per le paludi e le nebbie di una New Orleans più sensuale che torrida, abbandonato quello un po’ esangue dell’ex-ragazzo d’oro Chris Isaak.
Suoni assolutamente vintage, analogici fino al midollo, un pacchetto di strumenti sempre ristretto e misurato, corde pizzicate su un tappeto di tastiere essenziali e suggestive, attente ad accompagnare, senza mai prevaricarla, una voce che accarezza, morbida e seducente, calda e spoglia.
E’ blues, nella struttura e nella strumentazione, in bilico tra soul e gospel, nero fino al midollo, ma asciutto e bianco nella riproposizione, attratto dai primi vagiti country, lontani dalla maniera e vicinissimi all’anima vera, come nei modi di un Wooven Hand innamorato e positivo verso la vita. C’è tormento e sofferenza, ma in forma di canzoni d’amore, serenate di una passione che sta solo per nascere.
Poco più di mezz’ora di musica, per un pugno di pezzi che, alla fine dell’ascolto, lasciano ancora il desiderio intatto, pronti a riprendere da dove tutto era iniziato. Dall’abbrivio folk spoglio e suggestivo di “Demon Host”, con mille echi che ritornano, da Dylan a Bon Iver e oltre, attraverso la bellezza di “Until The Night Is Over”, un brano che spinge gli Animals tra le braccia delle sirene, con un chorus che resta fisso nella memoria di chi ascolta. O ancora l’asciutto e rarefatto rockabilly di “Magic Arrow” e le tastiere soul e venate di psichedelica di “I Get Low”.
Se vi capita, ottimo anche il cd aggiunto come bonus, con brani dal vivo in cui le suggestioni delle canzoni vengono amplificate e rese ancora più calde e vitali. Appena la splendida voce di Taylor Kirk abbandona la scena, anche per un attimo, il violino ricama con abilità le sue trame, la chitarra, ora slide ora pizzicata, sottolinea con attenzione i passaggi più sofferti, e le tastiere dipingono fondali in bianco e nero.
L’abbiamo trascurato al momento dell’uscita, all’inizio del 2009, ma la recente pubblicazione sul mercato italiano ci permette ora di non fare un secondo errore. E forse ci potrebbe pure scappare un viaggetto oltralpe in questo novembre, per una delle date del loro tour europeo. Chissà .