La cosa più bella del gestire una rubrica come questa, cari ragazzi e ragazze dalle lunghe orecchie e dal pelo arruffato, sono gli errori. Grazie a un semplice errore qualche tempo fa mi sono imbattuto in un bel gruppo (ormai non più attivo) come quello degli I Was a Cub Scout e grazie a un altro errore ecco che mi viene voglia di prendere una Telecaster e sfasciarla sul televisore con un bel po’ di sana rabbia punk.
Ero in cerca di un video che per caso conteneva le parole “Wire” e “Black” e che adesso non ricordo neanche più quale fosse (talmente preso dalla scoperta di questo bel gruppo proveniente dal Belgio) e invece mi ritrovo le facce di Jan Paternoster e Dries Van Dijck che suonano, urlano e camminano per strada in pieno revival garage rock, brit pop, punk something, seventies something else.
“High On a Wire”.
Adrenalina.
This time”…I might”…fall down.
Un duo come ne avete visti a centinaia ormai: rock scarno e aggressivo. Non è che con una chitarra, una batteria e un microfono puoi inventarti chissà che, eppure qualche volta un gruppo su mille mi fa drizzare le orecchie da coniglio e riesco non solo a prestare attenzione ma addirittura anche a farmi coinvolgere in parte.
Blues ovunque ma di quello che non stanca perchè camuffato saggiamente da pop-rock.
Vedo chiaramente la camminata arrogante e la voglia di scolarsi una bottiglia di Jack Daniel’s prima di salire su un palco e urlare e distorcere o far emozionare con una ballata. Paternoster è uno che non riesce a nascondere i propri idoli, nè sul palco, tantomeno nei videoclip ed ecco che saltano fuori Liam Gallagher, Richard Ashcroft, Ian Brown e Jack White.
Si vabbeh”…già visto e sentito, direte voi”…e allora?
Allora niente.
Allora dato che comincio a stancarmi di tutta quella musica che si proclama indie e che alla fine, a conti fatti è tutta uguale (almeno tanto quanto questa che si proclama solamente “Rock’n’Roll”) con quei ritmi da discoteca, intuizioni lo-fi e tastierine stupide che le romperei in testa a chi le suona, ecco che finalmente torna un po’ di sano garage rock come Dio comanda.
L’album è stato mixato a Los Angeles da Greg Gordon (Wolfmother, Jet, Soulwax) e Fred Kevorkian (U2, The White Stripes e Iggy Pop) ha poi conlcuso il lavoro a New York. Il risultato è acido, corrosivo, abrasivo e diretto come un pugno in faccia.
Poco cazzeggio e movimenti agili.
Rock dinamico e puzza di birra.
Riff azzeccatissimi e backing vocals che ti prendono e ti gettano nell’oblio di quella musica di quel sound che”…è semplicemente il tuo per come vivi e spesso senti possa rappresentarti un po’. Il tutto per quanto noioso e poco versatile altri possano trovarlo. E mentre NME classificava il nuovo album “Silver Threats” come un disco che vale la pena dimenticare in fretta perchè la copia della copia della copia, loro se ne andavano in giro per l’Europa a spargere distorsioni insieme agli Eagles Of Death Metal: io non sono nessuno per giudicare in modo certo ma credo che se cercate un po’ d’adrenalina una volta inserito questo primo full lenght nel lettore non premerete il tasto “Open/Close” per un po’.