Non sempre il buio come consistenza atmosferica produce l’effetto di un progetto fortemente voluto e amorevolmente supportato da sfiga, passione e fenomeni di dedizione perfetta a quello che in fondo del fondo si vorrebbe costruire, per poi arricchirlo sulla corta distanza. I britannici Engineers ““ o meglio ““ quello che rimane dopo la debà cle di Sweeney e McBean e con le new entry Ulrich Schnaus e Matthew Gilbert Linley, provano a rivitalizzare la fenice shoegazer con il terzo disco “In A Praise Of More”, voli oscuri e sognanti che come ‘nella migliore tradizione’ sorvola gli sfibranti anni 80/90, anni delle sottili impersonalità e dalle empatie stagne; la fede e l’aspirazione per non muovere nulla c’è, per un qualcosa d’originale bisognerà aspettare il fattore ‘miracolo’.
Disco fragile e inconsistente se preso dal versante emozioni, troppo tenero e dispersivo negli intrecci aleatori compositivi e come sempre ““ nella tipologia musicale proposta ““ quel senso basculante tra cipria e torba, quell’insoddisfazione di base che si muove tra le note senza rilevazioni o topografie vitali che perlomeno si possano ricordare appena se n’escono dal campo d’ascolto.
Ovvio un disco panacea per chi ha amato e ama tutt’ora l’epoca del No-Future dream-romantico inglese, specie chi si è fatto barutoli e capriole nella sacralità plumbea degli Spiritualized o nelle epicità degli Sneakers Pimps, molto meno- ma davvero molto ““ per chi su quei tappeti sonori color torba ha preferito dare fuoco incondizionatamente a scene esperenziali e militanze ben più vive, ossesse e con ‘più’ sangue nelle vene.
Tastiere e chitarre vanno a ricamare contrappunti e bordure che onestamente più che delineare un post-rock vanno a lambire il cianotismo di un dream-dark “Subtoter”, “Twenty Paces”, “Press Rewinder”, tutte dissolvenze e postulati che hanno un gran respiro, ma un respiro asfittico, ultra-respirato a dosi industriali ; loro, gli Engineers il mestiere di evocare, rappresentare e diluire la distanza del tempo lo fanno molto bene, ma come tutti i gruppi dediti a rimirarsi fobicamente le punte dei piedi e suonare col cuore pesantissimo alla lunga non paga più, ossia vanno a girare sempre più alla larga dall’interesse collettivo, e francamente del ‘catartico’ ora come ora non se ne ha bisogno, bisogna reagire a questi tempi bui.
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