Dev’esserci stato un momento, non troppo tempo fa, in cui il revival anni “’80 ha smesso di esistere in quanto tale per trasformarsi in qualcosa di diverso, di più profondo e pervasivo. Qualcosa di naturale. Era iniziato tutto – ricordate? – nei primi anni del decennio passato, con Interpol da un lato, Bloc Party e Franz Ferdinand dall’altro e un esercito di altra gente subito dietro (io, per dire, ancora spero nel secondo album degli I Love You But I’ve Chosen Darkness). Poi le idee si sono rapidamente esaurite, sopproffatte dalla ripetitività  e dalla copia della copia della copia. Ma non è stata solo una moda di quelle che arrivano e passano senza lasciare segni se non qualche punta di imbarazzo e nostalgia nei ricordi. Il ritorno degli anni “’80 si è radicato nel presente, in profondità . E lì è rimasto, ri-creando un’estetica per certi versi prepotente, con cui volenti o nolenti bisogna fare i conti. Da luogo rifugio in cui riparare per riportare a galla suoni e idee che avevano perso – ingiustamente, va bene – credibilità , il decennio post-punk è diventato elemento immancabile in buona parte di tutto ciò che viene chiamato indie.

Gli Abe Vigoda – quartetto con base a Los Angeles, ma originari di Chino, sempre California – avevano dribblato molto bene la questione, nel 2008, con l’esordio “Skeletons”: la voce scura di Juan Velasquez portava con sè tonalità  darkwave, le musiche uscivano però dalla zona dei ricordi analogici lanciandosi in un tropical-punk serrato e azzeccato. Poi c’è stato l’EP “Reviver” che ha rimescolato le carte e lanciato segnali inequivocabili in vista del successivo “Crush”. E un’altra volta gli anni “’80 hanno vinto. L’urgenza tropical-punk dell’esordio, che partiva, certo, dal post-punk più etno (dalle Slits ai Talking Heads) ma ne usciva fuori facendo un passo avanti, in “Crush” è sostituita da toni new wave più classici e frequentati.

Intendiamoci, “Crush” non è affatto un brutto disco. “Thowing Shade”, tra Cure e New Order, è davvero notevole, in “Dream of My Love (Chasing After You)” è difficile non sentire l’eco dei Joy Division e “Repeating Angel” non sfigurerebbe in un disco dei Depeche Mode. Ascoltando il tutto, però, non si riesce ad abbandonare l’impressione che questa nuova strada imboccata dagli Abe Vigoda sia una via senza uscita, un passo indietro. L’unico spiraglio di luce emerge dalla coppia centrale “Crush”-“November”: un uno-due serrato e saturo di chitarre in cui gli anni “’80 inglesi si frantumano per aprirsi a un’urgenza che sembra quasi richiamare certo emo-core statunitense del decennio successivo.

Ho visto gli Abe Vigoda dal vivo un paio di mesi fa, di supporto ai No Age, e con piacere ho notato come questo lato più chitarristico e deciso emerga molto più rispetto ai toni synth-pop che abbracciano il disco. Forse i quattro di Los Angeles sono già  su un’altra strada, che prende le radici del loro suono e le unisce con l’istinto rapido e scheletrico che usciva fuori dal loro esordio. Ma un concerto è troppo poco per capirlo. Non resta che aspettare la prossima mossa e vedere.

Photo Credit: Bandcamp

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