Nel Dna sta scritta la storia di ognuno di noi, le radici che ci hanno generato e che ci tengono incollati a terra nei momenti di perdita di coscienza.
Nelle vene che ci irrorano ogni mattina ritroviamo impercettibilmente il segno del passato che ci segna, che ci indica la strada, consapevoli o meno che siamo il risultato di tutto quello che ha respirato prima della nostra Idea di essere.

Così è anche per questi Surf City, arrivati sul ferryboat dall’altra parte del pianeta, da quella Nuova Zelanda ultimo giardino dell’Eden nel mondo striato di cavi e connessioni 24 ore su 24.
Culla magica di generazioni di rockstars seminali e a corrente alternata, terra di primavere infinite e distese verdi smeraldo a perdita d’occhio che probabilmente hanno fornito il vocabolario espressivo ed attitudinale a quel prezioso continuum postadolescenziale che ci regala, oggi, questo “Kudos” belloccio.
E non è solo il chiacchierare con fare distratto della strepitosa Scena Di Auckland, o perdersi nelle uscite del catalogo Flying Nun o gesticolare di quanto sia ramificato musicalmente, nelle isole che la compongono, l’impeto espressivo.

Abituati solo a campioni del mondo di vela e rugby spacciati come unico export della zona oltre alle pecore, sia chiaro, assaggiare nuovamente qualcosa che arriva dagli Antipodi veri ha sapore di rivalsa.
Verso quello che a noi manca sempre più: una visione Pop e scanzonata della vita e dell’arte, il piacere di suonare con gli amici e stigmatizzare così la genuina continuità  di una tradizione che oggi tutti hanno paura a chiamare con il suo vero appellativo, Rock And Roll. Parola di Dio.

Ed è seguendo questa attitudine priva di ipocrisie che David Stoddard e Josh Kennedy infilano 11 perle trasversali dal sapore discontinuo e dal mesmerismo sorprendente.
Una sorta di compendio che butta nella stessa pentola tutto e tutti.
Gli Animal Collective (“Yakuza Park”, “Zombies”), i Velvet Underground e la Motorik Teutonica impastata dagli umori acidi degli Spacemen 3 (“Icy Lakes” pezzo squassatutto e improbabile hit dell’album, “In Times Of Approach”), la dolcezza sognante dei “’60’s (“Retro” appunto), i Pavement con i Jesus & Mary Chain (“Autumn”, “Teachers”), qualche lezioncina Lo-Fi Pop che strizza l’occhio ai Chills e ai Clean tanto quanto ai Crocodiles e Intelligence (“Crazy Rulers Of The World”, “See How The Sun” ) ed una punta di boria verso l’Indie più NME oriented (“Ica”).

In definitiva, guardando ciò che rimane in testa dopo ragionamenti spuri in merito, “Kudos” mi piace molto per la sua complessa semplicità .
Nel suo esser a strati sovrapposti e contigui.
Nell’alternare quei suoni scalcinati a riferimenti alti, nell’osare le ribalte mondiali venendo dal nulla e dando comunque una quadratura matura alla sommatoria finale, dove il Tutto è equa somma delle parti, ponendosi in linea con la Nuova Scena Statunitense e spesso superandola per capacità  espressive e sostanza.
Certo il Capolavoro non sta più ai giorni nostri.
Ma non c’è nulla di male ad arricchire la propria misconosciuta collezione di dischi con lame di veggenza e narcisismo.
I Surf City? Li conosci? Io li ascoltavo 2 anni fa!.
Quale miglior uscita ad un appuntamento con i soliti noiosi “Imparati”?

Photo Credit: Bandcamp