Quasi volendo imitare la folle idea di Billy Corgan e di ciò che rimane degli Smashing Pumpkins, i Deerhoof hanno deciso di pubblicare il loro decimo album disseminando per il web le dodici tracce che compongono “Deerhoof vs. Evil”, a partire dall’8 ottobre quando, su Pitchfork, è apparsa in esclusiva “The Merry Barracks”.
Una mossa di marketing azzeccata? Probabilmente, anche se i Deerhoof non sono i Radiohead e il loro pubblico è una goccia nell’oceano dell’indie rock. Sono comunque riusciti in tutti questi anni a costruirsi la figura di band indie dalle strutture contorte ma funzionali, capaci di filtrare con il pop ma anche con l’avant, con la vocina di stampo nipponico di Satomi Matsuzaki come trademark. Niente male, al punto che il loro sound è oramai inconfondibile.
Rispetto ad “Offend Maggie” (2008) qui c’è un uso più imponente delle tastiere e dei campionamenti, ma anche di chitarre acustiche. I break o gli intro acquistano così colori più vivaci rispetto al lavoro precedente, forse più solido rispetto a “Deerhoof Vs. Evil”. Un disco meno diretto, che trae forza da novità quali i loop di “The Merry Barracks”, che preparano all’esplosione “sonica” di chitarre a seguire. L’elettronica viene quindi usata efficacemente (“Super Duper Rescue Heads!”) così come gli inframezzi acustici (“No One Asked To Dance”, così sixties nel suo andare). A volte sembra di tornare ai tempi d’oro del glitch d’inizio anni 2000 (“Qui Dorm, Nomes Omnia”), a volte vengono alla mente gli Yeasayer (“Hey I Can”).
“Deerhoof Vs. Evil” paga lo scotto forse del fatto che ci sia troppa carne al fuoco, troppe idee che finiscono per confondersi fra loro. Un riflesso incondizionato del fatto che tutti e quattro i membri della band apportano con proprie idee indipendenti alla composizione dei brani? Forse sì, forse manca una guida ferma. Rimane comunque una buona prova, di più al decimo disco non gli si può chiedere.
Credit Foto: Asha Schechter