Ora capisco Kate Moss che ha piantato Pete Doherty per mettersi con Jamie Hince. Jamie Hince è complessivamente più figo, ha molto più talento compositivo (anche se Pete Doherty nel primo disco dei Libertines ha scritto cose di tutto rispetto) e probabilmente assume una quantità  inferiore di droghe (anche se comunque a quanto pare Doherty sta smettendo, quindi il discorso cade già  prima di partire).

Ma perchè poi ogni volta che si parla dei Kills si finisce a parlare di Kate Moss e di Pete Doherty? Non si farebbe prima a dire che i Kills (anzi, facciamo gli anglofoni: che The Kills) fanno grande musica? Che Jamie Hince conosce molto bene il rock ed ha grande gusto compositivo e che la sua compagna di band Alison Mosshart ha una grande voce ed ha altrettanto talento? Che The Kills suonano come i White Stripes ma con più Inghilterra dentro (e dunque un po’ più patinati, ma solo un po’ ““ diciamo quel tanto che basta, visto che The Kills restano essenzialmente una band più di pancia che di testa)?
Non si fa prima a dire che “Blood Pressures” è davvero un grande album?

Uno di quei dischi che ti sorprendono perchè non te lo saresti mai aspettato così fresco e coinvolgente, denso e con una varietà  di soluzioni stilistiche che altri gruppi ben più celebrati manco si sognano. Fondamentalmente è un disco conservatore che suona rock nel senso più classico del termine, ma che recupera cose già  fatte in passato per rielaborarle in un modo assolutamente personale e peculiare: in poche parole, un disco che lo ascolti dall’inizio alla fine e ti rendi conto che – anche se ne parla perfino Vanity Fair ““ probabilmente qui da noi non verrà  apprezzato e capito a dovere, e tutto perchè quando si parla di The Kills si pensa subito a Kate Moss e non ad ascoltare con attenzione la loro musica.

Peccato, perchè la totalmente lennoniana “Wild Charms”, la stonesiana “Damned If She Do” i ruvidi ritmi in levare di “Satellite”, “Heart Is A Beating Drum” e “Baby Says” che sembrano uscita da certi dischi dei Primal Scream, l’arrangiamento minimale ma nello stesso sontuoso di “The Last Goodbye”, i Velvet Underground sotto MDMA di “Pots And Pans” e tutto il resto sono cose che è raro trovare in un disco che vuole suonare rock nel 2011. E non mi pare poco, in un mondo in cui da una parte c’è Pitchfork che ti contrabbanda come una folgorante novità  cose in realtà  assolutamente pretenziose (ed inascoltabili) e dall’altra c’è Mtv che sta educando le giovani generazioni a musica usa e getta da ascoltare con il cellulare.