Orfano della figura di Mark Linkous e dei suoi meravigliosi Sparklehorse ho ritrovato la magia della psichedelica nei Mercury Rev. L’ unica data italiana del gruppo di Buffalo era quindi attesa dal sottoscritto da molto tempo e le aspettative erano tante. Piu’ orchestrali rispetto al folk psichedelico degli Sparklehorse i Mercury Rev mi hanno incantato con la loro musica da piu’ di un decennio e quello che viene proposto stasera nella sua totalita’ e’ forse il loro album piu’ bello: “Deserter’s Songs”.

L’ Estragon di Bologna non e’ sold out come prevedevo, e’ pur sempre un mercoledi’. Ai nostrani Julie’s Haircut il compito di aprire il concerto. Forse un po’ troppo presto, e purtroppo arrivo alla fine della loro performance. La musica che viene dal mixer per coprire l’ attesa si avvicina alla tradizione indiana. Calano le luci e un pezzo strumentale precede l’ entrata del gruppo capitanato da Jonathan Donahue (voce e chitarra) & Grasshopper (chitarra). Inizia la magia con la traccia di apertura di “Deserter’s Songs”: “Holes”. Viene eseguita in maniera molto fedele all’ album. La parte orchestrale della canzone e’ tenuta in piedi da due keyboards, la presenza degli archi sarebbe stata il top, ma non si puo’ pretendere troppo. La voce di Jonathan Donahue appare subito essere il marchio di fabbrica della band; una voce che si destreggia tra le note alte di “Holes”. Il volto di Grasshopper coperto dagli occhiali da sole e’ molto sixties, vicino alle apparenze di un rockabilly. Alla onirica Holes segue, come da disco, “Tonite It Shows”.

A differenza della precedente la voce di Donahue si fa piu’ bassa, quasi Bowieniana, inoltre i Mercury spezzano il finale in 2/4, e una batteria sincopata velocizza e porta a conclusione la seconda traccia di “Deserter”. L’ atmosfera si fa poi natalizia con “Endlessly”, il suono dei due keyboards viene messo in primo piano supportati da una grancassa continua che ne scandisce il ritrmo. A tal proposito una nota di merito va al batterista “Jeff Marcel”, che ha saputo aggiungere una batteria piu’ virtuosa rispetto a cio’ che si sente sul disco. Il palco perde i due membri fondatori Donahue & Grasshopper per la strumentale “I Collect Coins” ma i due si ripresentano sul palco per suonare quella che e’ forse il fulcro di “Deserter’s Songs” ovvero la spaziale “Opus 40”. E’ da questa canzone che si puo’ infatti riassumere il suono portato avanti dai Mercury Rev fin dalla fine degli anni 80: una sorta di psichedelia onirica orchestrata da strumenti classici. Jonathan Donahue dirige i suoi compagni con un sogghigno che sembra esprimere il suo divertimento mentre suona; imita il volo del cigno, salta e dirige i compagni ricordandoci un Billy Elliot ormai cresciuto, arrivato a fare cio’ che la passione lo ha spinto a seguire.

Le origini americane della band vengono poi espresse in “Hudson Line” che precede la strampalata e strumentale “The Happy End”. Come da copione segue un’ altra hit ovvero “Goddess On a Hiway” in cui i nostri beneamati esprimono una certa sensibilita’ vicina al romanticismo. “The Funny Bird” ci riporta alle sonorita’ dei Pink Floyd, gruppo sicuramente di riferimento dei Mercury Rev. Segue un terzo strumentale dove Jonathan Donahue fa suonare un sega musicale. La divertente “Delta Sun Bottleneck Stomp” con il suo ‘catchy’ ritornello Waving goodbye I’m saying Hallo dovrebbe chiudere in teoria il concerto visto che i nostri eroi hanno compiuto la loro missione. Ma ancora c’e’ tempo per altre tre canzoni tra cui una splendida “The Dark is Rising” che letteralmente mozza il fiato ai presenti e li saluta degnamente, forse ammutoliti da una tale bellezza che i nostri amici Mecury Rev ci hanno saputo regalare.

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