Raccontano che Lightin’ Hopkins fosse solito dire che suonando il blues si scatena qualcosa di particolare e che a volte quel qualcosa ti prende di brutto. Si sente che Beige Fish ama il blues, quello duro e puro – vecchia scuola che veleggia tra Gerry Rafferty, Stephen Stills, Ry Cooder, Robert Johnson e Duane Allman. Fare un giro tra le mille pieghe del disco, il numero due per John Schiessler (già  lead singer in band come Cathouse, Vanilla Moon, ora in The Spoon and Munich Belle) accompagnato da una varia combriccola di cospiratori, vuol dire entrare a passo lento in un roadside bar d’oltreoceano e trovare esattamente quello che si cerca.

E allora sediamoci dentro questo “Wildcat Cafè”. Neanche il tempo di ordinare, e ci troviamo immersi in un’atmosfera fumosa, ovattata, carica di storie, aspettative e emozioni. “Falling Twins”, riflessiva e amara ballata con un inizio che ricorda i canti dei nativi americani, l’armonica cattiva della trascinante “In Your Town”, il malinconico rimpianto di “Crashing Head First”, i ricordi a orologeria di “Memory Lane”, il romanticismo di “Babe Ruth” (una donna, non il giocatore di baseball), gli arpeggi intensi di “Black Queen”(ispirata da una frustrante partita a carte), la rabbia inquieta di “You Hurt My Baby”, l’energia di “Midnightmare”. Poi quattro cover, scelte con cura, a impreziosire il tutto. La classica “Precious Memories”, che qui trova nuova voce e nuova vita, “Roll’em easy” di Little Feat, “Same Old Blues” di JJ Cale e, per finire, la sorprendente “Angel Of Montgomery” di John Prine, che ci accompagna all’uscita ricordandoci, in un sussurro, di non sbattere la porta.

Figlio di quella Roots Music che estende le sue radici tra le fangose rive del Mississipi e la popolosa Chicago, “Wildcat Cafè” è un album in bilico tra il blues più classico e il folk, concepito con passione da un musicista di passaporto tedesco ma col cuore a stelle e strisce, lo sguardo rivolto al di là  dell’Atlantico e l’anima emigrata in Usa.