LINE UP ““ 19/08/2011
RACE STAGE: ANGEL AT MY TABLE, EFFI, MARNER BROWN, THE KILLS, CRYSTAL FIGHTERS, 3 FEET SMALLER, ELBOW, KASABIAN, DEICHKIND
GREEN STAGE: THE BEWITCHED HANDS, FRISKA VILJOR, YODELICE, IRIE REVOLTES, FEEDER, MONO & NIKITAMAN, APOCALYPTICA, DROPKICK MURPHYS
WEEKENDER & PLINGG STAGE: STEREO SEASON, 3 STILLS, VASEVA, BLACK BOX RADIO, THE VIEW, LCMDF, KING CHARLES, THE RIFLES
RED BULL CONTAINER BASH: TIM ANDERSON, CHRIS LAKE, MARK KNIGHT, CRAZY SONIC
UAF FLOOR: JOYCE MUNIZ, BUSY P, FEED ME, BOYS NOIZE, THE SONIC CUBES
REDBULL BRANDWAGENSTAGE: SAWOFF SHOTGUN SET 1, SAWOFF SHOTGUN SET 2, SADO MASO GUITAR CLUB SET 1, SADO MASO GUITAR CLUB SET 2
Secondo giorno, venerdì. Vento, nuvole e le agghiaccianti notizie dal Pukkelpop. Però, hey, qui hanno imparato a condividere con tutti le notizie: sui maxischermi ai lati del palco principale comunicano subito lo spostamento dei View da un palco all’altro (causa ritardo del volo), a un orario che ce li farà perdere perchè saranno in contemporanea con i Feeder. Non è una perdita così grave, certo, ma la giornata di oggi offre ben poche cose e nonostante la loro mediocrità , un po’ dispiace. Il cazzeggio ignorante ai festival è sempre ben accetto.
Cambiamenti vari di line up e di palchi: il primo artista del giorno sul Race Stage è Effi, idolo locale chiamato all’ultimo momento per sostituire i Simple Plan, altro gruppo che un giorno prima dell’inizio del festival si è ricordato di avere di meglio da fare. Come tutti gli artisti locali, anche per Effi c’è un’accoglienza incredibile. Un ascolto distratto per i suoi quaranta minuti, ma mi azzardo a definirlo un buon entertainer, capace di suonare diversi generi e di far felici i suoi connazionali. Chissà cosa diceva, cosa cantava. Dopo di lui, le nuvole se ne vanno, arriva il sole e sul palco arrivano i Marner Brown a tappare il buco lasciato dai View. Band inglese la cui esistenza era sfuggita ai più. Niente di fenomenale: quell’indie-rock, tanto inutile quanto innocuo che si ascolta bevendo una birra e usufruendo del wi-fi comodamente seduti sul muretto di fianco alla sala stampa.
Adesso forse le cose si fanno interessanti: tocca ai Kills, sempre sul Race Stage. E bastano un paio di pezzi per capire che no, niente di interessante. Si sente male, loro sono svogliati, accaldati, suonano riuscendo a non dare il minimo spessore ad alcuna canzone. Non li ho mai particolarmente apprezzati nemmeno su disco, ma chi invece li apprezza concorda con la noia della performance. Non è decisamente la loro giornata. In quaranta minuti l’unica cosa che riesco a fare è chiedermi con quale coraggio Kate Moss sia riuscita a passare da Johnny Depp a Jamie Hince (passando addirittura per Pete Doherty, brrr). Quando finiscono vedo i Feeder allo stand della Converse per una signing session: mi fermo, gli chiedo cosa fosse successo al concerto di Milano e Grant esprime tutto il suo livore verso quella maledetta smoke machine che gli ha fatto perdere la voce e l’ha costretto a interrompere il concerto.
I Feeder sono il prossimo gruppo, suonano sul Green Stage: non c’è quasi nessuno per loro e nonostante ciò riesco a finire di fianco a un gruppo di austriaci che forse sta sentendo un altro concerto. La loro reazione è quella che si potrebbe avere, per esempio, a un concerto dei Limp Bizkit: pogo selvaggio, fastidioso e violento. Sui Feeder. Su qualsiasi canzone, comprese “High” e “Just The Way I’m Feeling”. Beh, comunque: un set corto che inizia con qualche problema che il fonico riesce a sistemare abbastanza in fretta. Suonano un’ora, suonano da dio. Entusiasmo travolgente, “Buck Rogers”, “Come Back Around”, “Insomnia”, “Just A Day”. Cantare e saltare come se non ci fosse un domani o come se non ci fossero altre tre ore di festival. Quanto vi voglio bene, cari i miei Feeder.
Si torna al palco principale, ci sono gli Elbow. E in cielo delle nuvole pazzesche, grosse così, nere. Un sacco di lampi. E lì, sotto al palco con il k-way addosso, penso che vorrei vivere in un concerto degli Elbow: l’apocalisse che sta per arrivare e loro che la contrastano con quel senso di pace che può emanare la loro musica. Sono eleganti, delicati hanno una sezione d’archi ed è tutto così paradisiaco, mentre intorno a loro, l’inferno sta per scatenarsi. Guy Garvey si lancia in un coro contro le nuvole (facendoci cantare clouds fuck off sulle note di “Grounds For Divorce”), che non ha l’effetto sperato. Inizia a piovere, a diluviare. Per circa sette minuti sono tuoni, fulmini e secchiate d’acqua. Gli Elbow lasciano il palco, la gente corre, c’è chi entra nel Weekender (il palco all’interno di quella che potrebbe essere una palestra) e chi in sala stampa, che, visti gli eventi del Pukkelpop, è stata aperta a tutti alla prima goccia di pioggia. Un temporale estivo che finisce in pochi minuti, gli Elbow tornano sul palco e suonano “One Day Like This”, settima e ultima canzone del loro cortissimo set.
Grazie al temporale e alla gente che è corsa via la posizione guadagnata per i Kasabian è ottima. I Kasabian sono ottimi e come fate, voi austriaci, a stare fermi e immobili per quasi tutto il loro set? Sono una macchina da guerra: canzone dopo canzone ti buttano addosso un’energia spaventosa, Tom Meighan è un frontman incredibile, Sergio Pizzorno è nascosto nell’ombra per tutto il tempo, ma il suono della sua chitarra è micidiale. Sono fighi, hanno pezzi fighi e ti sparano addosso tutte le hit senza tregua. Il pubblico inizia a svegliarsi verso metà concerto, con “Fast Fuse” si scalda e su “Vlad The Impaler” finalmente scoppia il delirio che continua su “L.S.F.” e durante l’encore. Chiudono, giustamente, con “Fire” e c’è tanta di quella adrenalina in circolo che potendo si andrebbe avanti a saltare e a cantare per altre tre ore, ma bisogna fare i conti con le line up austriache. Arrivano sul palco i Deichkind, headliner della serata: un gruppo hip hop tedesco. Via, corri, salvati almeno tu. Andiamo a dormire, che domani ci sono i Foo Fighters.
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