In un periodo come il nostro fatto d’incertezza, di timori e speranze passeggere, in cui il lavoro può sparire con l’arrivo della sera, in cui i soldi anche mettendoli in fila non arrivano alla fine del mese, in cui il futuro si staglia all’orizzonte sottoforma d’un immondo punto di domanda, il ritorno a una dimensione bucolica, semplice e immediata non può che essere lo scopo a cui ambire, il conforto da ricercare. E mi aspettavo proprio questo dai Los Campesinos!, giunti al quarto album senza troppi clamori, senza aver mai aver dato segni d’improvvisazioni, di svolte artistiche e, giammai, di sperimentazioni. Erano il disco che più prevedibile che avrei ascoltato quest’anno, sincero sì, ma lineare e semplice, come semplice può essere un collettivo che decide di adottare ilo stesso cognome per ogni membro, in stile Ramones, solo molto più da sagra di paese: Los Campesinos!
Poi mi sono deciso. Ho perso il lavoro, delineato un grosso punto di domanda all’orizzonte ed ho ascoltato in ritardissimo (l’album è uscito il 15 Novembre) questo “Hello Sadness”. E ho scoperto che non erano i Los Campesinos! che ricordavo! Hanno sempre quella verve che fa molto Broken Social Scene di provincia, l’indole scanzonata di un Tom Sawyer che corre scalzo saltando da una pozzanghera all’altra e la voglia di festa, di danza goffa con le braccia alzate e gli occhi sognanti chiusi, ma c’è dell’altro. Saranno le defezioni, un paio di Campesinos infatti hanno lasciato la lineup, sarà che la Wichita Recordings stavolta ha fatto le cose in grande spedendo l’album in post produzione da John Goodmanson ( Death Cab For Cutie) ma il disco ha un bellissimo impatto: spensierato e leggero sì, ma con consistenza, c’è fin della raffinatezza, è ottimamente rifinito e curato, più da Los ciudadanos! stavolta.
Anche i testi hanno una svolta più rock, più grintosa, meno politically correct: “we were kissing for hours, with her hands in my trousers”/”Here it comes, this is the crux/she vomits on my rental tux” canta Gareth, il contadino frontman, in apertura di disco. I temi sono ancora tardo adolescenziali, da serie tv di Mtv come potrebbe essere “Skins”, infatti la spina dorsale di questa produzione è la commiserativa tristezza, salutata ironicamente, di Gareth per l’amore della sua vita finito in malo modo a pochi giorni dalle registrazioni. Da qui canzoni da cuore spezzato “Hello Sadness”, da inizio rielaborazione del lutto della rottura “Life Is A Lon Time”, da saggio che ripercorre le tappe della propria vita guardando agli amori lontani “Light Leaves, Dark Sees pt. II” passando per “Every Defeat A Divorce”. Ma è con una canzone come “Baby I Got The Death Rattle” che troviamo la band al massimo della forma, con la storia bislacca di un Gareth che va a farsi leggere i palmi delle mani dopo esserseli bruciati giocando con uno Zippo, in un salendo di tono, tra glockenspiel e violini, sfociando in un coinvolgente pezzone singolo da mainstream, da cantare tutto d’un fiato.
La band Gallese, non c’è che dire, ha imbastito un bel disco convincente.