Intelligenza, freschezza, reale, surreale e nessun riempitivo, questo e molto altro ancora (il prossimo che dice “nonsense” lo denunzio) troverete nel terzo album dei Dadamatto da Senigallia, città di Rotonde sul mare e pattume sedicente hip-hop, controcultura dei miei santissimi. Però, allo stesso tempo, patria di una resistenza umana fatta di piccoli club che aiutano la scena a crescere, laddove i grandi e “storici” si sono arresi alla pecunia che non olet nemmeno in riva all’Adriatico. Sta di fatto che i Dadamatto hanno raggiunto il traguardo del terzo disco, salendo ancora qualche gradino rispetto al pure ottimo “Il derubato che sorride” vecchio ormai di tre anni, che già fu ben recepito e recensito tra i più avveduti, oltre che assimilato da diversi colleghi.
Oggi i Dadamatto smontano e rimontano, smembrano la metrica e le strutture musicali, impastano generi diversi e decadi distanti, tenendo tutto in equilibrio grazie ad un cantato stralunato quanto vuoi ma perfettamente pop. La personalità che Marco Imparato, Michele Grossi e Andrea Vescovi hanno da vendere e lo sguardo analitico e caustico sulla realtà circostante fanno il resto, dando vita a brani che si stampano nel cervello ed emozionano cosicchè l’obiettivo dichiarato fin dal titolo è perfettamente raggiunto. Il canto di violenza e non appartenenza della title track, i dissidi tra prosa e poesia di “William Shakespeare”, i rimpianti di “Abbiam finito per perdere”, l’amarezza, la rabbia, la furia, il riso, questo è il materiale che i Dadamatto manipolano con onestà rendendo alle orecchie dell’ascoltatore la vita, o qualcosa di molto simile. Le citazioni del poeta Sandro Penna e di Sergio Citti (“Stanca puttana”) , ma pure quelle di Gianni Vattimo rendono l’idea che pure l’immediatezza ha bisogno di una profondità per non risultare superficiale e “Anema e Core” ha così tanti strati che dopo una decina di ascolti sa stupire e attrarre.
Si diceva che non ci sono riempitivi in questo disco e lo si ribadisce a fine corsa, dopo aver ascoltato gioielli come “Il cantico delle creature” o “Il netturbino”, e che dire di “Semaforo rosso” con i suoi sentori dei mitici Altro? Ogni cosa è illuminante.
Mi si permetta in coda uno spazio personale per salutare e ringraziare Enrico Veronese (Enver), giunto alla decisione di abbandonare il gramo mondo della musica indipendente italica, alla quale ha di certo reso un servizio enorme quanto poco riconosciuto nel decennio trascorso. Quindi niente più Italia Embassy, niente più “Mogli e Buoi“. Personalmente gli debbo molto (ad esempio la scoperta dei Dadamatto) e voglio rendergliene atto.
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2. William Shakespeare
3. Abbiamo finito per perdere
4. Stanca puttana
5. Scilla e Cariddi
6. Il cantico delle creature
7. Semaforo rosso
8. Il netturbino
9. Canzone in 3d
Ascolta “William Shakespeare”