Intervallo celebrativo per la biondissima Alison Goldfrapp, che dall’alto dei suoi 45 anni (l’avreste mai detto?) e dei suoi 5 lavori discografici si prende una pausa insieme al fido Will Gregory, dettata più da regole di mercato che da una reale esigenza professionale (la band è già  al lavoro sul seguito di “Head First”). Una carriera, quella del duo inglese, tra le più variegate che si siano viste negli ultimi anni, specialmente se inquadrata in un panorama come quello del pop britannico che sempre meno offre spunti originali al pubblico. Un percorso artistico iniziato con quel “Felt Mountain” che si fatica a non definire capolavoro, un album di un’eleganza e di un fascino che raramente si è ripercepito negli anni a venire; un po’ differente la situazione all’ascolto dell’ultimo lavoro, dove l’entusiasmo iniziale va scemando in un synth pop marcatamente 80s che molto perde rispetto ai passati electropop dei precedenti “Black Cherry” e “Supernature”.

Posizione a parte per l’insolito “Seventh Tree”, che riprende le rarefatte atmosfere del debutto riproponendole in una sorta di folk-pop onirico senza tuttavia rinunciare a un neanche troppo velato ammiccamento alla distribuzione di massa, come è logico che sia.

Una carriera che offre quindi parecchi spunti di riflessione su ciò che possa essere pop al giorno d’oggi, scandagliata in una raccolta che va a sottolineare l’eterogeneità  di un prodotto che seppur commerciale conferma sempre di provenire da un pensiero creativo indipendente, distante dai polli di batteria delle case discografiche. Molto buona la distribuzione dei singoli in tracklist, alternati in gruppetti dalle sonorità  analoghe: dalla tripletta synth iniziale, alla successiva parentesi dream pop, per ritornare poi sui passi più danzerecci del duo e terminare infine con gli unici due inediti a supplemento dell’antologia, “Yellow Halo” e “Melancholy Sky”.

Entrambi molto distanti dallo spirito truzzeggiante dell’ultimo disco e più affini alle atmosfere eteree di “Seventh Tree”, contraddistinti da una semplicità  di base e dall’assenza di fronzoli, lasciando spazio a due brani molto piacevoli senza grandi pretese.