La commedia, potremmo dire, è società che protegge se stessa con un sorriso J.B.Priestley
Seguire il cinema contemporaneo può risultare frustante. Si ha come l’impressione di essere eternamente legati a un’attualità , che diciamocelo, a volte non è proprio coinvolgente. Spinti – ‘con una pietra al collo’ direbbe De Andrè ““ a cercare rifugio dentro le sale sbrilluccicanti dell’ ultimo multiplex aperto in città , quello con nuovi confort e pochi spettacoli degni di nota. Convinti da un negativo etnocentrismo italo-americano che il cinema oggi sia luogo ludico, dove la tecnica è esaltata e il ragionamento scaduto. Poi però ti fai coraggio, alla fine chi rinuncerebbe mai alla magia dei raggi di luce che aleggiano tra il proiettore e lo schermo. Prendi il cappotto e sei già fuori, col fare sornione di un bambino ridente.
‘Vediamo… Che ne dite di ‘Quasi Amici?’ Ne ho sentito parlare molto bene’ dici alzando la voce, assumendo quel tono da opinion leader che infondo ti piace tanto. Fatta, andata, li hai convinti. Ultima fila centrale, qualche trailer, e poi eccoci: il jingle di Medusa ( sorridi tra i denti pensando che silvietto ha prodotto anche questo film ), si alza il sipario. Un nero dall’aspetto mafioso guida un tetraplegico tra le strade di Parigi a bordo di una rombante Maserati. Sfuma l’immagine e inizia il racconto.
Driss (Omar Sy) attende di essere ricevuto dal milionario Philippe (Francois Cluzet) tra le ansie dei vari candidati al posto. In realtà a Driss non interessa essere assunto come badante, preferendo piuttosto una firma sbrigativa che gli apra le porte al sussidio di disoccupazione. Ma Philippe rimane colpito dalla portata di quel rozzo interlocutore, e gli propone una scommessa: non riuscirà mai a resistere in carica per più di due settimane. S’incrociano gli sguardi, la sfida è colta.
Olivier Nakache e Eric Toledano si preoccupano di indirizzare, appunti in mano, questa assurda coppia di macchiette. Con un testo abile e ragionato, la loro bravura consiste nel riempire la barca con tutti i generi di provviste necessari al lungo viaggio. Non gli importa tanto capire cosa effettivamente tornerà utile in futuro, ora ogni scatola potrebbe contenere il cibo giusto. Mischiano le vite dicotomiche dei protagonisti, riuscendo magicamente a congiungere tra loro sentimenti ostili e a riappacificarli con delle note alte e una fotografia d’autore. Certo, c’è lo sfottò della cultura aristocratica e la battuta bassa da bar, ma anche la profondità nel descrivere le zone grigie con il verso genuino avvezzo alla commedia francese.
L’intuizione geniale prosegue all’insegna dei personaggi secondari, come la custode (Anne Le Ny) o la segretaria (Audrey Fleurot), che scaraventati in ribalta, innescano una guerra civile arricchendo la scena con nuovi spunti ironici. Si sorride e si riflette per poi tornare a ridere con più coscienza, seguendo uno schema lineare che ci guida verso un finale gravido, carico di senso compiuto. In estrema sintesi il merito è principalmente uno: aver ridato alla commedia lo spazio ragionato che le spetta.
Concludo con un appello. Mi rivolgo a voi Verdone, Virzì, Salvadores, Ozpetek, Placido, Muccino, e a tutti i vostri alter ego americani: ridateci la nostra commedia!