I Dandy Warhols sono uno di quei gruppi figli dell’era della hit parade e di quell’hype vecchio stile che era fatto di tormentoni ed evanescenti meteore. Musica undeground che fa capolino nel panorama mainstream quanto basta per regalare un paio di sussulti e poi accettare il proprio destino. Lo stile goliardico, anacronistico e spiccatamente fuori da ogni genere e decade hanno fatto si che la band arrivasse a pubblicare ben sette album in studio prima dell’ultimo “This Machine”.
Figli del loro tempo, ma non vittime dell’effetto meteora, o Dandy Warhols preferiscono non adeguarsi ad uno standard, regalando un ventaglio di richiami e generi che va dal grunge dei Pearl Jam e Soundgarden (“Sad Vacation”, “Slide”) ad un synth pop condito di riverberi ed echi, seguendo senza vergogna l’onda del new wave che ha contagiato il panorama indipendente (“The Autumn Carnival”, “Alternative power to the people”). L’aspetto eclettico e autoironico è quello che rende questo album davvero interessante; se ormai abbiamo iTunes pieno di neo-post punk, un po’ di sano brit pop a là Blur non guasta mai (“Enjoy Yourself”). Via libera ai falsetti, al rock più elettrico e graffiante ( “SETI vs wow! Signal”, “I am free”) e ad accenni nu-jazz e garage blues (“16 tons”), per poi sorprendere con il pezzone space rock imbastito di synth che ci riporta ai tempi di “Dark Side of the Moon”.
In tanta varietà i passi falsi sono inevitabili (vedi “Rest your head” e l’accoppiata contralto/rivebero che proprio non acchiappa), ma la band riesce sempre a cavarsela in un oscillare tra alti e bassi che strizza l’occhio tanto alle mode della nuova decade quanto a quelle di quindici anni fa. Con “This Machine” i Dandy Warhols ritornano più goliardici che mai regalando una personale visuale di quello che è stato, è e forse sarà la musica che hanno vissuto in questi ultimi vent’anni. Prendere o lasciare.