Di cosa parliamo quando parliamo di Liars?
Di una delle band più influenti e influenzate del nuovo millennio, una delle poche ad aver caratterizzato il sound del decennio scorso, ma prima ancora il modo di approcciarsi alla musica e di produrla. Mi spiego: dal terzetto americano di stanza, ormai da diversi anni, a Berlino (e dove sennò) non bisogna attendersi lavori che destabilizzino o aprano nuovi sbocchi alla musica rock, semmai ce ne fossero. Il loro mestiere è quello di rielaborare, mescolare, taglia-incollare quanto di ottimo il rock ha saputo proporre negli ultimi quarant’anni di sperimentazione selvaggia, diciamo da “Tago Mago” in poi, quel rock del quale i Nostri sono voraci consumatori. Sono proprio i Can la band alla quale i Liars vengono accostati più spesso, per lo meno a partire dal 2004, anno di pubblicazione del loro secondo lavoro “They were wrong, so We drowned”, vero spartiacque nella carriera dei Nostri, disco che spostava la barra artistica verso certa new wave, il suono industrial e l’improvvisazione, dopo un esordio all’insegna del punk-funk di scuola albionica (Gang of Four, Pop Group).
Sono seguiti due lavori di grande spessore (“Drum’s Not Dead”, a mio avviso il capolavoro della band, e “Liars”) mentre il 2010 ha visto l’uscita dell’interlocutorio “Sisterworld”. Il 5 giugno 2012 è stata la volta di “WIXIW” (si legga “Wish You”), disco dall’elegante packaging che non ha mancato di stupire perchè più lento e riflessivo, quasi lisergico, rispetto ai precedenti lavori e decisamente basato su elettronica e sintetizzatori, oltrechè su una solida ispirazione ai lavori di inizio Millennio dei Radiohead, del resto Angus Andrews non ha mai fatto un mistero della sua devozione alle linee vocali di Thom Yorke.
“WIXIW” è un buon disco, con dei momenti sublimi come l’iniziale “The Exact Colour of Doubt” o il brano che dà il titolo all’intero lavoro, oppure “Brats”, nei quali la voglia di smanettare produce vortici in cui la mente si perde e il corpo si muove, soprattutto nel terzo. Resta però la sensazione dopo un certo numero di ascolti che quanto abbia da dire il disco dei Liars sia tutto lì, senza rimandare ad altro che non siano appunto le influenze musicali già squadernate, ed è questa una sensazione spesso provata con questa band. Che cioè il loro essere accademici, seppure ad alti livelli, alla fine risulti essere un ostacolo insormontabile verso l’Empireo dell’arte delle sette note, dal quale li osservano coloro ai quali si rifanno.