Se ne parla da oltre due anni e finalmente ecco “Love This Giant”, disco frutto dell’incontro tra due artisti così distanti anagraficamente ma così vicini per ispirazione e sensibilità come David Byrne e Annie Clark. Registrato nell’arco dei suddetti due anni presso gli studi Water Music di Hoboken, l’album è (sulla carta) frutto di una vera e propria collaborazione, infatti dieci dei dodici brani in scaletta sono stati scritti a quattro mani con i restanti due equamente divisi. Scrivo sulla carta perchè il disco, fin dal singolo apripista “Who”, appare soffocato dallo stile algido, minimale ed elegantissimo di Byrne, artista che ha dato il meglio di sè trent’anni fa, quando la nostra Annie non era ancora nata ed è fatale quindi che la personalità della più giovane, nonchè fan, si faccia da parte.
Innanzitutto manca totalmente la chitarra, vero marchio di fabbrica degli album a nome St. Vincent mentre tutto il lavoro si basa sugli ottoni, e l’esilissima linea di drum machine affidata a John Congleton, secondo la nuova ispirazione del “candido” David. Cosa già notata nella colonna sonora di “This Must Be The Place”, uno dei film più sopravvalutati della scorsa stagione. Il risultato finale, su disco come fu sullo schermo, è la noia, delicatissima, raffinatissima, levissima ma noia in splendido stile New York-chic.
Parlando in termini matematici si potrebbe dire che nella somma delle due parti ci si ferma ad uno e mezzo perchè David Byrne fa il David Byrne, magari un tantino più accessibile di altre volte mentre di St. Vincent rimane solo la gradevolezza del canto. Però chi la conosce sa che in lei ci sono molte cose in più, anche una forza che troppo spesso viene accantonata in favore del controllo totale (il suo stage diving “pettinatissimo” a Coachella vi potrebbe rendere l’idea), ma in questo “Love This Giant” tutto viene surgelato, devitalizzato.
Se poi ci si deve esaltare per la precisione delle orchestrazioni o per il fatto che le canzoni scorrono con piacevolezza a fronte di una discografia recente del “candido” sperimentale al limite dell’incomunicabilità , accomodatevi pure.