Che “Swing Lo Magellan” sia uno degli album che difficilmente non presenzieranno su gran parte delle classifiche di fine anno, compresa quella del sottoscritto, è pressochè una certezza. Aggiungi l’hype mediatico provocato recentemente dal bellissimo “Hi custodian”, corto diretto da David Longstreth a supporto di gran parte dei brani dell’album, e quel senso di vaga delusione derivato dall’aver perso le ultime date della band in Italia, in seguito alla pubblicazione di “Bitte Orca”, fatto sta che mi dirigo verso La Gaitè Lyrique con più aspettative fiduciose che senso dell’orientamento, tant’è che arrivo sul luogo in ritardo di mezz’ora.

Nonostante il ritardo, riesco a perdermi solo qualche brano del gruppo di apertura, tali Callers, di cui sinceramente avrei fatto anche volentieri a meno: grupettino senza troppe pretese con voce femminile pseudoarty (Bjork ha rovinato una generazione) che per un’oretta presenta una decina di brani senza personalità . Dopo più di mezz’ora dalla fine della loro apertura, e dopo un soundcheck veramente accurato, ecco entrare in scena Longstreth seguito dalla Coffman e da bassista e batterista, in un’interpretazione della titletrack dell’ultimo lavoro che, nonostante tutto, non riesce a emozionarmi come faccia da mesi su disco. Sarà  l’arrangiamento, sarà  l’assenza di una spettacolarizzazione del tutto (niente visual, luci modeste, band vestita come se dovesse andare a cogliere le olive), sta di fatto che la medesima sensazione verrà  a ripetersi per gran parte del concerto, come se al gruppo, tanto meritevole in studio, mancasse ancora quella miccia per diventare la bestia da concerto che ci si sarebbe aspettati.

Segue al primo brano l’ingresso sul palco delle due ragazze, rispettivamente a synth e percussioni, note per gli intrecci vocali con la più celebre Amber Coffman; proprio le armonie vocali delle ragazze salveranno buona parte delle aspettative, con apice nell’esagerata “Beautiful Mother”, seguita da applausi scroscianti e urla da stadio. Per il resto il live si sdipana in un’ora e mezza di brani tratti dagli ultimi due album, in un misto di sensazioni neutre e positive. Molti i momenti alti ““ buonissime “Cannibal Resource” e le interpretazioni di tutti e tre i singoli estratti da “Swing Lo Magellan”, qualche pecca un po’ più pesante come una brutta stecca della Coffman sul finale di “Stillness Is The Move” e un arrangiamento che distrugge il climax di “Useful Chamber”, salvata in corner da un godibilissimo finale con coda noise random, fino al termine con una sentita “Impregnable Question”, che addolcisce un po’ le vaghe sensazioni d’insoddisfazione. L’impressione finale è di una band cosacrata in studio ma con ancora qualcosa da imparare sul versante live, malgrado la generale godibilità  del tutto.