Cosa di può dire su “B3”? Se fino ad ora avete seguito gli sviluppi della carriera dei Placebo, da “Sleeping with Ghosts” in poi, non c’è molto altro da aggiungere. “B3” è un episodio insignificante di un percorso artistico che ha ormai da secoli perso smalto, argomenti, verve, pulsazioni, guardaroba. I Placebo hanno smarrito la bussola e l’ispirazione ormai da un decennio, se non fosse per qualche b-side più coraggiosa come ad esempio “Evalia”, “Soulmates”, “Drink you pretty”, dove mostravano ancora qualche barlume di capacità creativa, non starei qui a parlarne. Chi scrive infatti è una ex-fan redenta, una di quelle che andava ai concerti, comprava cianfrusaglie con l’effige di Molko sgambato e truccato, collezionava copertine di riviste, articoli, bootleg a non finire e singoli su singoli comprati tramite aste online.
Fino a “Without you I’m Nothing” è stato tutto bellissimo, però l’illusione d’assistere a qualcosa di grande che via via sfumava si era concretizzato fin dai primi segni di calvizie di Brian, il quale sempre più disperato si arrangiava in tagli sempre più ridotti per tentare di salvare le apparenze. Un po’ come Sansone, più il cuoio capelluto veniva meno più i Placebo perdevano l’ispirazione. Come per i pistacchi fuori stagione (per trovarne qualcuno decente bisognava ravanare alla cieca nel sacchetto, fin quando non beccavi quello bello tornito da assaporare con avidità ), in ugual modo per trovare qualcosa di buono nella discografia dei Placebo bisognava addentrarsi dentro le outtake e le b-sides, per riuscire a trovare quella dose sufficiente di brani che ti facessero sentire ancora il brivido provato a suo tempo, quell’eco di sensazioni ormai non più proponibili.
La facciata shoegaze decadente s’era sfaldata in favore di un più rassicurante pop-rock svogliatamente trasgressivo. Ad un certo punto anche lo stesso Steve Hewitt, il batterista storico, ha detto basta, non potendo più sopportare la deriva rock d’accatto che la band aveva intrapreso, decidendo di piantare il gruppo in favore di un progetto inedito, i Love Amongst Ruin che hanno un suono simile a quello dei Placebo degli esordi, sensibile e acidulo insieme, che Brian Molko e Stefan Olsdal non ebbero l’intenzione di far evolvere.
I Placebo reagiscono alla dipartita assumendo un altro batterista, pescato come premio partita alla sagra del tatuaggio, un certo Steve Forrest, di venti anni più giovane rispetto ai due. Escono dalla Mute che intanto ne approfitta per pubblicare tutto il loro catalogo, tra cui live e cover, e mettono sul mercato quell’indecenza di “Battle for The Sun” . Questa volta Molko rinuncia ai tagli cool e si affida direttamente alle extension, perchè ormai dove gli si è chiusa la fontanella è più liscio di un display touchscreen, e le ciocche posticce sono l’unica soluzione ponderabile. Soluzione adottata anche per l’album, un sommario di tutti i luoghi comuni più tristi della forma canzone pop-rock, con tanto di salto sul carro dei vincitori piazzando qui e là arrangiamenti orchestrali, giusto per ingraziarsi i fan dei Coldplay.
“B3” tutto sommato non è così terribile, certo di idee nemmeno l’ombra, innovazione neanche a parlarne, però forse qualcosa timidamente si muove. Su 5 brani c’è “The Extra” che proprio da buttare non è, brano accattivante dove i Placebo volano basso, tentando la strada di un intimismo questa volta (poco più) maturo di quello a cui ci hanno abituati.
I Placebo sopravvivono grazie alla retorica del “tutto sommato” già da diversi anni, è uno sconto che chiunque gli concede perchè, in un passato remoto, li abbiamo amati tutti e per motivi musicali e per la parlantina di Brian Molko. Queste continue pacche sulle spalle nonostante i risultati gli hanno forse fatto più male che bene, quindi prendiamo per buono l’esempio della Merkel e adottiamo anche noi la linea dura.
Bocciati su tutta la linea, esigiamo dai Placebo un rinsavimento istantaneo perchè ne hanno le capacità . Pretendiamo che si riprendano seduta stante dal torpore e dall’indolenzimento in cui hanno sguazzato per anni e realizzino un album appassionato, vibrante, come quelli che hanno dimostrato in passato di saper realizzare.
Fino a quel momento toccherà bocciarli senza pietà , in quanto non ne hanno avuta alcuna per i poveri ascoltatori.