Nel panorama italiano sono molto rari i progetti ambient e d'”improvvisazione”. Si può dire in modo esplicito che in Italia una scena del genere non esista per nulla, almeno per ciò che concerne quest’ultimo lustro a cavallo tra gli anni ’00 e ’10. L’ambient è sempre stato monopolio angloamericano e nonostante la sua potenziale universalità è sempre stato un genere poco esportabile. Rari infatti sono stati i casi di band italiane capaci di avere un riscontro anche all’estero, come ad esempio i Port Royal. Questione di cortile o di una nicchia troppo stretta? O semplice questione di mercato che non “tira”?
Risposte certe a domande estemporanee non ve ne sono. Sta di fatto che in questa circostanza, Emanuele de Raymondi apre un bello squarcio su questo tipo di discussioni.
“Buyukberber Variation” è un progetto con una forte caratterizzazione, che si fonda su di un concept affascinante. De Raymondi reinterpreta, utilizzando distorsioni elettroniche, le improvvisazioni al clarinetto del turco Oguz Buyukberber. La performance del clarinettista è stata registrata all’interno di un loft completamente vuoto, a Berlino, senza l’ausilio di alcun effetto digitale o altra strumentazione.
Le composizioni di Buyukberber vengono alterate dal sound artist italiano, il quale realizza una interessante sintesi stilistica tra elettronica, ambient, jazz e minimalismo. L’obiettivo di De Raymondi è di sperimentare le relazioni spontanee che sorgono tra il suono, lo spazio e la percezione, delineandosi a tal proposito come una realtà singolare all’interno della scena indipendente italiana.
“‘Buyukberber Variations” è un progetto interessante e sofisticato, sebbene sia stato realizzato all’impronta ha un preambolo ben articolato. Forse il caricare troppo di significati l’operazione, chiarendo il perchè si è scelto il termine variazione e non altro, il perchè è stato scelto quello spazio e non un altro, il perchè non si è usata un tipo di distorsione e non altre, la lezione di archeologia musicale con, pensate un po’, il riproporsi dell'”Epitaffio di Sicilo” – primo esempio di notazione musicale scritta di cui si abbia testimonianza, incisa su di una stele in Anatolia nel primo secolo dopo Cristo e riproposta dal clarinettista turco per dire che “si può essere contemporanei senza dimenticare le nostre origini” – ha appesantito molto tutta l’intera confezione, irrigidendo quella spontaneità , svelando la natura di quel mistero e di quella meraviglia che ascolti ignari avevano suggerito. Esperimento di nicchia dalle alte ambizioni, “‘Buyukberber Variations” è un perfetto caso studio per un eventuale tesi in “sociologia della musica”, ma per tutti gli altri comuni mortali è un’operazione intellettuale che si apprezza solo nella teoria.