Ultima next big thing inglese per questo autunno/inverno, gli Egyptian Hip Hop sono un caso particolare di hype “tirato per le lunghe”, secondi solo all’infinito clamore di “Chinese Democracy” dei Guns n’ Roses, partorito dopo quasi un lustro dalla sua enunciazione.
Il mormorio attorno le gesta degli Egyptian Hip Hop comincia nel 2008 con la pubblicazione del singolo “Rat Pitt”, un leggero brano tra elettronica e art-pop che li configura come la versione inglese e lo-fi degli MGMT. Le riviste di settore ““ NME in primis, sempre in avanscoperta sui potenziali gruppi da macinare in copertina ““ notano la band e danno il via al classico battague pubblicitario. A parte qualche sporadica comparsata, il gruppo sparisce per un anno e si ripresenta di nuovo nel 2010 pubblicando altri due brani, “Wild Human Child”, un post-punk alla Maximo Park con incursioni synth-pop ed un video sulla falsariga di “Crystal” dei New Order (solo che gli Egyptian Hip Hop erano pischelli per davvero, alla stregua degli Hanson), ed “Heavenly” in cui i 4 ragazzini si divertivano a smanettare un po’ con la chillwave.
Fino a questo momento erano nè carne e nè pesce, del resto cosa si si poteva mai aspettare da un gruppo composto da ragazzini che non avevano ancora l’età per comprare alcolici? “Good Don’t Sleep” rappresenta dunque la prova del nove per il gruppo di Manchester; tenta di fornire una prima risposta alla legittima domanda: ma gli Egyptian Hip Hop cosa sono diventati? Come suonano?. La risposta è semplice e quanto mai a portata di mano: prendete i TOY e gli MGMT, mescolateli gli uni con gli altri ed avrete gli Egyptian Hip Hop. L’aver messo un po’ di barbetta sulla gote, l’aver adottato un look woodstock e il farsi fotografare con i filtri preimpostati della Reflex, non li ha trasformati automaticamente nei nuovi profeti che l’hype profilava. Anzi giungono anche in ritardo, in quanto un progetto analogo, molto più fresco e meno appesantito da una coltre vintage fuori ogni misura, ha visto il debutto già questo Febbraio. Parliamo degli Young Magic e del loro “Melt”, band di Brooklyn che ha proposto una ricetta molto simile senza però sciuparla in inutili progressioni (nonostante i risultati poco soddisfacenti) e pedanti citazionismi.
Gli album di debutto degli Young Magic e degli Egyptian Hip Hop sono una buona occasione per riflettere sullo stato di salute del pop psichedelico, il quale senza il contributo di Ariel Pink sembra barcollare nel buio, incapace di trovare una strada alternativa e percorrerla. Che l’autoreferenzialità di cui si ammantano queste pubblicazioni sia la vera causa di tale immobilismo? Oppure il problema bisogna ricercarlo nella comodità di voler proporre non qualcosa di inedito ma di “accomodante” nella sua riconoscibilità ?
Egyptian Hip Hop o della ridondanza. Se “Good Don’t Sleep” fosse un libro avrebbe questa frase come sottotitolo.
Ascolta “Yoro Diallo”