[piccola appendice storico-gossippara]
Negli ultimi anni il motorik è tornato di moda, evviva il motorik. Horrors e Toy in particolare hanno ridato lustro al tamburellio con cui i NEU! si sono imposti nei primi anni ’70 come precursori del rock krauto. La donzella che risponde al nome di Rachel Zeffira, come molti sapranno, l’anno scorso ha affiancato anche Faris Badwan, frontman degli stessi Horrors, nel progetto Cat’s Eyes. Qualcosa impari, magari, lavorando gomito a gomito con quel corvo (senza offesa eh) (dai, onestamente sembra un corvo: è praticamente Edward Mani di Forbice con i capelli buttati tutti all’ingiù) (a quanto pare, tra l’altro, gran esperto in tema di presenze femminili: è stato lui a “soffiare” Alexa Chang ad Alex Turner) .
“…E infatti, il motorik è presente qua e là in questo debutto solista di Rachel (si ascoltino “Here On In” e “Break The Spell”). E proprio i TOY vi prendono parte come ospiti e amici (contenta lei”…) Ma a farla da padrone qui sono archi (perfetti a non eccedere in “Letters From Tokio”) e soprattutto voce e piano i cui accordi e i cui arpeggi vengono snocciolati qui come pioggerellina (“Silver City Days”), lì con fare tipico di un saggio di fine anno (il bozzetto da mezze stagioni di “Front Door”).
Non è un disco galvanizzante, “The Deserters”, tutt’altro: è sospeso, felpato, se la prende con moooolta calma. Necessita dello stato emotivo adatto per essere apprezzato appieno, per parteciparvi lasciandosi cadere qualche lacrima o qualche lieve sorriso di ricordi. E’ come un dormiveglia. Un liscio e sinuoso dormiveglia, un lasciarsi cullare da un carro scoperto guardando le stelle, in cui non trovano spazio asperità . Anzi, dove queste potevano esserci, come nella originale “To Here Knows When” dei My Bloody Valentine, qui vengono totalmente tagliate via. Cover che si inserisce perfettamente nel quadro generale, peraltro, e prima pietrolina da cui è partito l’intero progetto, come spiega Rachel stessa in un’intervista a “The Quietus”.
Sospeso e felpato, dicevamo: quasi assenti le batterie, addirittura. La sensazione generale è di contemplazione, raccoglimento (già me li vedo tutti gli astanti ad un live, immobili) e talvolta estasi: la conclusiva “Goodbye Divine”, uno dei pezzi migliori del lotto, trae soffice intensità dall’ipnotico incastro tra la litania di Rachel e i saliscendi dell’organo da chiesa. Va detto che molto, in termini di soavità , apporta la voce della Zaffira, la quale ben adatta le proprie qualità di soprano ad un pop già di per sè fluido, liquido (se avete ascoltato “Cats Eyes”, una “The Best Person I Know” o una “I’m Not Stupid” vi da l’idea di ciò che potrete ascoltare qui). In questo senso, si è molto più vicini ai territori di una candida Katie Melua la cui ugola è stata ulteriormente sottoposta a narcosi che non di una artigliosa Fiona Apple.
Un disco ordinato e misurato, pulito (forse anche troppo), che sembra dipinto con pastelli scuri e lampi di bianco lucente: ora la Disney ha la sua perfetta colonna sonora per un documentario sull’astronomia.
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2. Here On In
3. Letters From Tokyo (Sayonara)
4. Front Door
5. Break The Spell
6. Silver City Days
7. Star
8. To Here Knows Where
9. Waiting For Sylvia
10. Goodbye Divine
Ascolta “Here On In”